La caccia all’influencer e la misura del potere

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Quasi fosse una sorta di Sacro Graal digitale, comunicatori e uomini marketing sono alla ricerca dell’influencer. E proprio come la coppa dell’Ultima cena ci si chiede ancora se, poi, in realtà esista o meno. Una corrente del marketing definisce così le persone, consumatori fra i consumatori, in grado di orientare le scelte di acquisto di altri. Ma subito si contrappongono quanti sostengono che, in realtà, gli influencers non esistano, che le persone, sulla Rete agiscano sulla base di decisioni già prese a livello istintivo, che vengono razionalizzate e quindi giustificate in un secondo momento. In sostanza si cerca conforto razionale per una decisione irrazionale già presa e quindi nessuno è realmente in grado di “indirizzare” o modificare le scelte di altri. Piero Tagliapietra, per esempio, sostiene questo da tempo.

Ma poi sono proprio i critici del concetto a reintrodurlo dalla finestra, dopo averlo cacciato dalla porta. “Abbiamo detto – scrive sempre Tagliapietra – che non esistono persone in grado di influenzare i comportamenti, ma ci sono soggetti con un ampio seguito che possono essere considerati degli “attivatori di comportamenti latenti o potenziali” dato che i follower sono già soggetti manipolati: più che di influencer possiamo quindi parlare di “mass trigger” o “mass activator”.

Non vorrei esagerare nelle semplificazioni ma credo che il dibattito si possa ridurre a una questione di definizione e di risultato. Se si guarda il risultato, l’importanza degli influencer sta in quello che hanno il “potere” di fare, cioè indurre comportamenti. Da un punto di vista concreto che i follower, piuttosto che i membri della community, siano già manipolati o meno, ha poca rilevanza. Conta il fatto che esista un soggetto in grado di indurre queste persone a fare qualcosa.

Se si parla di definizione del termine influencer emergono due categorie. Quelli in grado di influenzare (ammesso che questo sia vero) le intenzioni di acquisto e quelli che si comportano da hub informativi, ovvero da gatekeeper, cioè selezionano notizie, le caricano con la propria autorevolezza e le comunicano ai propri follower o membri della community. Su questo si è più o meno tutti concordi, d’altronde gli opinion leader sono sempre esistiti e sono quei soggetti che si comportano come “mass media” e sono quindi influenzatori cognitivi. In questo caso non c’è una decisione istintiva già presa, non c’è una scelta da attivare, c’è la visione di un fatto, c’è la narrazione della realtà che viene fornita da soggetti che altri considerano talmente autorevoli da poter, appunto, giocare il ruolo di narratori o interpreti della realtà, dei fatti. Sono, a tutti gli effetti “media”, in grado cioè d’informare il proprio pubblico e d’influenzarne la visione della realtà.

In questo senso il ruolo di un influenzatore è di straordinaria importanza per chi gestisce le PR, in quanto diventa esso stesso in grado di governare e filtrare i flussi informativi e reputazionali all’interno della community della quale è un influencers. Community che si forma fra persone che condividono idee, opinioni, sensibilità precedenti. In un gruppo così coeso, governare i flussi informativi diventa ancora più strategico, in quanto la visione della realtà che il gatekeeper costruirà, poggerà su un sostrato coeso e omogeneo di idee e sensibilità.

Gli influencer esistono quindi, quantomeno nella loro veste di opinion leader, di hub informativi. Io preferisco chiamarli snodi, ovvero quei nodi di rete (ognuno di noi è un nodo delle Rete) in grado di aggiungere valore alle informazioni che pubblica. Ciò che conta è l’autorevolezza: l’ha detto lui, lo ritengo autorevole, ci credo. Visti così, influencer e quindi snodi sono dai grandi siti mainstream informativi ai siti specializzati ai blog sino ai singoli personaggi in un social network.

Detto questo come identificarli e soprattutto come valutarne il peso? Sulla bilancia si mettono sempre i lettori, i follower, gli amici, i fan, in una parola la audience. Ma questa è una metrica presuntiva. Non è infatti possibile sapere con esattezza quante delle persone che seguono uno snodo entri realmente in contatto, veda” un dato contenuto, una certa informazione. Abbiamo visto che, in realtà, ciò che distingue un influencers è la sua capacità di “far fare qualcosa” agli altri. E’ quindi la sua capacità d’ingaggio, la capacità che ha di coinvolgere e “attivare” il suo pubblico, la sua community. Certo che gli snodi “informativi” non fanno o meno comprare qualcosa ma qualcosa la fanno fare: inducono il loro pubblico a commentare, condividere e “votare” quel che scrivono e pubblicano. In buona sostanza, quindi, è la viralità la metrica vera per valutare e pesare gli influencer. Più sono in grado di attivare il proprio pubblico più sono influenti e autorevoli.

Tecnicamente non è difficile misurare la viralità, grazie alla metrica messa in campo da Image Building Digital che la smonta in tre “atti”: il voto (like, +1, segnalazione), la condivisione e il commento. Sono tre atti che comportano tre diversi livelli di impegno dell’utente. Il voto minimo, la condivisione medio e il commento massimo. Basterà contare quanti atti virali ottiene un singolo contenuto, sommandoli fra loro, dando più valore alle condivisioni e ai commenti (per esempio moltiplicando i loro rispettivi valori x2 e x3) e si otterrà un indice di viralità. A questo punto se si misura quella di tutto ciò che viene pubblicato da un singolo luogo web (sito o singolo profilo non è importante) in un dato lasso di tempo si otterrà un valore medio della capacità di ingaggio di quell’influencer ovvero la rappresentazione numerica del potere della sua voce.

Esistono gli influencer? Sì, decisamente e sono anche molto importanti per chi gestisce le PR online, semplicemente perché sono i veri interlocutori. Riuscire a “trovarli” e a valutarli è difficile? Se si considera il potere della loro voce è decisamente più facile. Questo non significa che entrarci in relazione, soprattutto quando si parla di singoli personaggi sui social network o di blogger, sia agevole, ma questa è un’altra storia.