Finalmente il velo si è strappato sulle ipocrisie digitali. Il web non è paritario ma fortemente concorrenziale. E’ un mercato nel quale tutti siamo in vendita e il blogging (quello etico, veicolo della libertà di espressione e costruttore dell’intelligenza collettiva, per capirsi) è ufficialmente morto. Tutto questo lo si deve (e non lo dico con alcun accento critico) alla macchina di Rudy Bandiera. Ma andiamo con ordine.
Quando comprai la mia ultima macchina (14 anni fa e ci giro ancora adesso) la gentile venditrice, quando scoprì che facevo il giornalista mi applicò uno sconto secco del 10% (che sul prezzo di un auto sono soldi). “Come mai?” chiesi io dall’alto della mia ingenuità, “Lei è una persona nota ed è un bene che le nostre auto siano scelte da persone note e poi, se vorrà, magari ne scriverà bene o la consiglierà ad altri e se la consiglia lei vale di più”. Insomma, la teoria degli influencers in formato preistorico (era gennaio del 2000).
I social sono squassati dalla tempesta #unamacchinaperRudy, che poi, si è trasformato in #unaSmartperRudy, grazie alla mossa di marketing del brand Mercedes. Che differenza c’è fra lo sconto del quale ho usufruito io 14 anni fa e la smart a disposizione di Rudy Bandiera? Assolutamente nessuna. Come scrive bene Futura Pagano è una tecnica di marketing vecchia come il marketing stesso: la caccia al testimonial è roba da Bignami di comunicazione comprato in Autogrill.
In tutta questa musica già sentita c’è però una nota che stona, che per me ha l’effetto del gessetto che stride sulla lavagna: la richiesta esplicita. Cito: “Ora, visto che sono un blogger fiko, che sto bene in giacca, che partecipo a#Sinnova14 come relatore, che ho scritto un bellissimo libro sul Web 3.0 (http://www.rudybandiera.com/web-30 ) visto che presento #GoingGoogle e che faccio un intervento brillante al #SMMdayIT e considerato che per i brand sono una ghiottoneria da non farsi scappare, di moda ora e poi forse e mai più, come mai non trovo una casa automobilistica che mi da una macchina?”.
Che in questo passaggio ci sia ironia è evidente ma non c’è autoironia. Rudy Bandiera si prende maledettamente sul serio, consapevole che quello che dice (e i numeri di reach che riesce a produrre) sia non solo vero ma “commercialmente” rilevante per un’azienda. Al netto di una questione stilistica (assolutamente personale) che mi fa sentire aliena una simile esposizione, non c’è nulla di male. C’è però (e finalmente) la pietra tombale sul Web paritario, sull’ecosistema intrinsecamente democratico. Esistono utenti di serie A, quelli che, per meriti personali o meno, diventano personaggi, brand e sono in grado di negoziare il loro valore sul mercato. E ci sono gli utenti di serie B, quelli che la notorietà, la capacità d’influenza dei personaggi la sostengono e ne sono contemporaneamente vittime e artefici.
Luca Alagna dice che “oggi sempre più il rapporto tra community e influencer è IL modello di comunicazione, marketing e interazione social(e). Il mercato cambia e quindi il marketing deve cambiare (e lo sta facendo). I cittadini cambiano e quindi la politica deve cambiare (e lo stiamo iniziando a fare)”. Molto vero anche questo, anzi, talmente tanto vero che si potrebbe dire (e io lo dico) che il Web funziona così: è un gigantesco mercato dove i concetti di media e influenza si sono atomizzati e de-professionalizzati (almeno secondo i vecchi codici professionali analogici).
Dunque ben venga Rudy Bandiera e la sua furba mossa di marketing se ci fa finalmente chiamare le cose col loro nome e comprendere che i €5.000 a serata della fashion blogger di turno sono la norma e non l’eccezione, così come i tariffari per i post o le piattaforme che raccolgono migliaia di blogger e sulle quali si lanciano vere e proprie campagne promozionali. Facciamoci pace, lo scenario è questo, inutile continuare a pensare al Web come una cosa pura: è sporca, ingiusta, violenta e vorace esattamente come la nostra società, della quale non è altro se non la declinazione digitale. Che poi questo mi piaccia o meno non è rilevante.