Cronaca di un suicido (reputazionale) annunciato

7151

Chiara Ferragni ha sbagliato nella gestione della crisi che l’ha investita? Si e non una ma tre volte. No non parliamo del video di scuse perché quello è solo una conseguenza. Il primo errore è di auto-percezione. Lei non è più solo un’influencer del mondo del fashion, è un personaggio “politico” e per questo divisivo, tanto odiato quanto amato, in una perfetta polarizzazione che dal campo del fashion e dello stile si è spostata su temi e valori molto più “alti” e ad alto tasso di conflittualità.

Basta ricordare le sue posizioni e polemiche durante la Pandemia (anche quelle sul tema della solidarietà), i suoi monologhi e l’utilizzo del suo corpo come bandiera di libertà ed emancipazione femminili durante il festival di Sanremo e sui social. Inoltre ha più volte preso posizioni conflittuali su temi sensibili, utilizzando spesso le proprie iniziative di solidarietà (le terapie intensive in tempi del covid, ad esempio) come leva di posizionamento reputazionale. In sostanza è come se si fosse disegnata un bersaglio sulla schiena.

Il secondo errore è diretta conseguenza del primo: non aver compreso quale fosse il vulnus reputazionale che la sanzione le infliggeva. La prima reazione, infatti è stata contestare la sanzione stessa, non capendo che non fosse questa il problema ma il comportamento che l’antitrust sanzionava. Se hai scelto la polarizzazione, lo scontro diretto, la divisività e, soprattutto, le azioni di beneficienza e solidarietà come leva identitaria e ti accusano di strumentalizzare proprio la solidarietà per fini commerciali, non puoi non costruire una risposta che smentisca il fatto, non la sanzione e non puoi non aspettarti che aver polarizzato le audience non inneschi una reazione violenta: l’occasione che i detrattori aspettavano per abbattere l’idolo. Inoltre una sanzione dell’antitrust non è una multa dell’autovelox, che ti arriva a casa a sorpresa. La Ferragni e le sue società ne erano informate. Sarebbe bastato prevedere lo scenario peggiore, questo, e preparare una strategia di risposta.

Il terzo errore è una clamorosa sottostima delle dinamiche di una crisi o, peggio, una clamorosa iperfiducia nelle proprie capacità comunicative. Costruire un video di scuse tecnicamente perfetto (forse anche un po’ troppo), studiato in ogni dettaglio che sostiene, in sintesi che si è trattato di un errore che non si ripeterà e per sostenere la propria assunzione di responsabilità annuncia la donazione di una cifra importante. Tutto perfetto se non fosse che, dopo pochi giorni, la tesi dell’errore viene clamorosamente smentita da una seconda inchiesta, questa volta sulle uova di Pasqua. Di nuovo una mancanza di consapevolezza di sé stessi: prima di scegliere una linea difensiva è sempre necessario analizzare le proprie vulnerabilità e modulare la risposta sulla base di questa analisi. La conseguenza è il crollo immediato di tutta l’impalcatura strategica di gestione della crisi, la trasfigurazione del video che da elemento simbolico importante della risposta diventa un boomerang perché mutato il contesto muta anche il significato: perde ogni tratto di sincerità e diventa poco più di una prova d’attrice.

Ma a questo punto la domanda è ancor più stringente: per quale stakeholder e per quale audience di riferimento della Ferragni questo evento è una crisi, assodato che di una crisi si tratti? Se vediamo i dati raccolti splendidamente da Pier Luca Santoro, riassunti in quest’immagine e che trovate anche qui e qui), sui poco meno di 30 milioni di followers, ne ha persi circa 163.000, lo 0,55%, una percentuale bassissima anche se si tratta del calo più violento da sempre mentre Fedez, il marito, ne ha persi circa la metà. La sua community la sta abbandonando? In realtà non sembra. Il problema vero è verso le aziende con le quali la Ferragni ha o potrebbe avere rapporti e accordi commerciali (Safilo ha già rescisso il suo contratto). Lei è il suo prodotto e ora per qualsiasi azienda accostare il proprio brand a uno controverso potrebbe non essere ritenuto più opportuno e remunerativo e anzi potrebbe esporre le aziende stesse a critiche da parte delle loro community che non coincidono con quelle della Ferragni ma possono invece aver cambiato valutazione reputazionale sull’influencer.

In conclusione una gestione della crisi decisamente non brillante e un danno reputazionale molto ma molto serio ma soprattutto la dimostrazione plastica che la gestione delle crisi, che sono sempre e solo reputazionali, passa innanzitutto dall’intelligence, ovvero dalla conoscenza del proprio percepito, delle proprie vulnerabilità, soprattutto quando si sceglie la polarizzazione come cifra comunicativa, e sulla comprensione esatta del vulnus ovvero di cosa abbia deluso o colpito negativamente le proprie audience. Sulla base di queste analisi si può e si deve scegliere la strategia giusta e le giuste azioni per governare la percezione. Se tutto questo non si fa, non rimane che fare il conto dei danni e tentare di risalire la china, che è esattamente ciò che è costretta a fare Chiara Ferragni.