Eni – Report. 202 milioni per “controllare la stampa”? Non è proprio così

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La puntata di Report di domenica scorsa ha dipinto l’Eni quasi fosse una sorta di grande fratello in grado di controllare e imbavagliare la stampa italiana e internazionale. Chi mi conosce sa quanto io non sia un “aziendalista” e quanto non sia mio uso difenderne le sorti ma, lavorando per un’altra grande azienda e quindi conoscendo alcuni meccanismi, alcune cose mi sono saltate agli occhi.

Non entro nel merito dell’inchiesta di Milena Gabanelli sui rapporti con la Russia e le scelte strategiche di Eni, non ho gli strumenti né le informazioni per farlo, tantomeno pubblicamente. Non voglio indagare i rapporti personali di questo o quel dirigente con altri personaggi, più o meno trasparenti. Per questo c’è la magistratura e il lavoro di Report è comunque, dal punto di vista giornalistico, importante. Mi voglio però soffermare proprio sull’aspetto del supposto “controllo della stampa”. La cifra che è stata portata come “prova” dell’attività orwelliana di Eni sono i 202 milioni di euro messi a bilancio per “pubblicità, promozione e attività di comunicazione”, che l’ex direttore delle Relazioni Istituzionali ha asserito servire per “controllare la stampa”.

A rischio di passare per impopolare, quei 202 milioni sono destinati a tutte le attività di comunicazione della multinazionale, comprese pubblicità, sponsorizzazioni, gestione della comunicazione online, creazione e allestimento dei punti vendita, gadgets, insomma tutto quello che un’azienda fa e produce in termini di comunicazione. E’ troppo? Rispetto al bilancio dell’Eni no, non è tanto, anzi. L’azienda italiana, nel 2011, ha fatturato la bellezza di 109,6 miliardi di euro, per un utile di 6,86 miliardi. Insomma, Eni ha destinato poco meno del 3% dei suoi ricavi (meno dello 0,2% del suo fatturato), in comunicazione. Contando che è presente in 79 Paesi ed essendo una società rivolta al pubblico, quindi sul mercato e in concorrenza, la percentuale dedicata alla comunicazione è pienamente nella normalità. Basta spulciare i bilanci di altre grandi multinazionali market-oriented, per trovare percentuali anche decisamente superiori.

Quindi non sono budget faraonici e se è Eni ha iniziato a comunicare tardi a questi livelli (anche se mi risulta difficile credere che non esistesse un budget comunicazione prima di Scaroni, fosse anche per disegnare le insegne e decidere il colore della mobilia nei punti vendita) è, forse, perché la privatizzazione ha costretto l’azienda a “scendere in campo” in maniera più decisa.

Tutto questo non per dire che quello che è stato detto a report sia falso o sbagliato ma solo per definire meglio i contorni di un problema che ritengo estremamente delicato ovvero quello di dare informazioni corrette ma anche contestualizzandole con attenzione, evitando di ingenerare la sensazione che abbiano significati diversi.

Che poi Eni abbia un ufficio stampa efficiente è fuor di dubbio (da sempre è considerato, nell’ambiente, il migliore) e che la percentuale di investimenti in comunicazione sia pur “normale” in realtà metta a disposizione una cifra imponente, anche questo è fuori discussione ed evidente. Non voglio, però, ripeto, entrare in questa discussione. Non conosco l’azienda e non ho contezza dei fatti. Ma credo che la chiarezza e la completezza dell’informazione siano necessarie, proprio per fugare ogni dubbio di preconcetto.

Dubbio che deve essere venuto ad Angelo Perrino, direttore di Affari Italiani, che ha pubblicato, all’indomani della trasmissione, il carteggio che sarebbe intercorso fra l’azienda petrolifera e Report (Leggilo qui), nel quale la prima ha risposto (bene o male, credibilmente o meno non è rilevante in questa fase) ai quesiti della trasmissione. Di questo carteggio in trasmissione non se n’è fatto cenno.