Ho contato, in sette giorni, 9 eventi dedicati a Internet, al Web, ai social network, insomma a qualsiasi cosa che potesse in qualche modo riferirsi alla Rete. Li ho contati distribuiti per l’Italia, ai quali si aggiungono un paio anche nella vicina Europa, a partire dall’eG8 francese. Mi sono andato a guardare i programmi, i panel, i relatori. Un fiorire continuo di “web 2.0, social media, social network, marketing online”, e poi Twitter di qua, Facebook di là, Goggle di sopra, Microsoft di sotto. Insomma, dopo Strauss-Khan e le elezioni milanesi sembra che non si parli d’altro (anche se sui media, analogici o digitali che siano, l’eco è piuttosto blanda). A molti di questi eventi ho anche partecipato, in qualcuno ho anche parlato e, la sensazione che ne ricavo e che siamo nel pieno di una fiammata inflazionistica.
Sembra quasi che si faccia a gara per mettere in piedi eventi targati “internet” dove, spesso, parlano molti che con la Rete hanno una rapporto appena nato. e allora è tutto un fiorire di case history, esperienze, racconti, idee più o meno in libertà ma, valore aggiunto, spunti di discussione, confronti su problematiche vere, quelli, a dir la verità, a volte scarseggiano.
Non che sia sempre così, ovviamente ma il rischio è proprio quello dell’inflazione: troppi eventi, a volte su temi piuttosto generici. troppi relatori non in grado di portare quel “valore” in più al dibattito che servirebbe come l’aria.
Così potrebbero avere la meglio saturazione e disaffezione in un ambito che ha invece bisogno di approfondimento, studio, dibattito. Non credo, infatti, che per la Rete valga il noto detto: “Purché se ne parli”, proprio perché la rivoluzione dell’online è talmente profonda da richiedere approfondimento e competenza certi e solidi. Non basta quindi continuare a battere su “quanto sia importante l’online, quanto stia cambiando il nostro mondo” ma sarebbe necessario approfondire le tematiche che a tutt’oggi sono ancora aperte.
Qualche esempio? I modelli di business su Internet, le tecniche di marketing sociale, la gestione dei rapporti con i media online e ancora la Net neutrality, la forte concentrazione del potere economico e di controllo da parte dei grandi player come Google e Facebook, l’assottigliarsi della coda lunga e dei relativi spazi di mercato. Senza dimenticare la centralità sistemica dell’online e la sua marginalità percepita (ancora) dal mondo delle imprese e dei professionisti, senza dimenticare la pubblica amministrazione. Non basta? Qualche parola sullo scarso successo delle nuove iniziative online d’informazione? Sulla forte affermazione del video come forma di comunicazione sulla Rete? Vogliamo poi parlare di social network? Qualche riflessione su come gestire i rapporti con influencer e blogger? Di come monitorare la viralità e come leggerne i dati?
L’esigenza, sempre più forte, è proprio capire ma capire per fare. Niente alti voli, niente speculazioni filosofiche, risposte concrete a problemi concreti. C’è quindi una domanda e come in ogni mercato che si rispetti (anche quello della formazione/informazione) si sta sviluppando, tumultuosamente, una offerta. Il problema è il suo livello qualitativo.
E’ un po’ come il famigerato monitoraggio della reputazione. Agenzie che “ascoltano” la rete e spiegano se un’azienda, un prodotto, un personaggio, siano giudicati bene o male dagli utenti, spuntano come funghi. Sull’attendibilità dei dati, sul loro livello di affidabilità la confusione è grande. Ho assistito personalmente a presentazioni nelle quali articoli pubblicati da quotidiani cartacei e riproposti sul web venivano giudicati da un software insieme ai commenti sui social network, con risultati esilaranti.
La disaffezione inizia già a serpeggiare. Nelle aziende che si scontrano con servizi inutili, malfatti e pagati a peso d’oro e che, alla fine, non prendono più in considerazione le offerte di agenzie serie “tanto non ci faccio niente”. Fra i professionisti, gli utenti e i semplici curiosi che, un po’ sperduti fra i tanti eventi, relatori, guru e paraguru della Rete, iniziano a non partecipare più. Anche qui il commento è “tanto non mi serve a niente”.
Il pericolo è che il dibattito di qualità sulla Rete diventi autoreferenziale mentre all’esterno si parli solo di quelli che hanno trovato l’anima gemella con il tal sito o dell’assenteismo digitale per chi è su Facebook in orario di lavoro.