Ventuno giorni, quasi 200.000 followers persi, un contratto rescisso, uno spot cancellato (quello di Coca Cola), volumi di conversazioni (con sentiment negativo) che non accennano a calare, una copertura mediatica che oscura quelle dei due conflitti in Europa e Medio Oriente, il blocco dei post sponsorizzati che sta costando oltre un milione di euro di mancati introiti e, soprattutto, un profondo danno reputazionale. Questa la fotografia a oggi dello stato della crisi che ha investito Chiara Ferragni a seguito della sanzione irrogata dall’Antitrust per pratiche commerciali scorrette. Il filo conduttore di queste tre settimane di crisi è il silenzio. Silenzio della Ferragni, interrotto solo da una story e un’apparizione in un post “familiare” del marito, e silenzio, questo assoluto, della Balocco. Silenzio e inazione che sono, evidentemente, una scelta strategica. Ma si può parlare di gestione di una crisi attraverso il silenzio, l’immobilità? Ho avuto modo di intervenire su questo tema durante la trasmissione “Dritto & rovescio” del 4 gennaio, qui provo ad articolare meglio un’analisi.
Il vulnus reputazionale
Le crisi oggi sono legate alla percezione, ovvero a come audience e stakeholders interpretano un evento, un fatto e al conseguente giudizio, valoriale, che ne danno. In sostanza si forma una convinzione che consolida a tutti gli effetti una narrazione collettiva. E la convinzione che si è consolidata oggi è che la Ferragni abbia lucrato sulla beneficenza, manipolato i consumatori facendo creder loro che comprare un pandoro
volesse dire sostenere i piccoli ricoverati in un ospedale oncologico e invece si è intascata tutto e non l’ha fatto una volta sola. Una convinzione grave che mina alla radice la sua credibilità. Si può ben dire infatti che proprio il suo impegno nella solidarietà e nella beneficenza, oltre che le battaglie per i diritti delle donne e della comunità LGBTQ+ creassero quella bolla di legittimazione etica, che le permetteva di “andare sopra le righe”, quando ad esempio ostentava lo stile di vita lussuoso, mantenendo sotto controllo le conseguenti inevitabili critiche. Bolla che rafforzava anche la sua credibilità e la sua spendibilità presso ampie audience, tanto che fra le sue principali voci di business c’erano gli accordi con brand importanti sia per la veicolazione di post sponsorizzati, sia per la creazione di vere e proprie linee di prodotti co-branded.
Il crisis management
A fronte di un danno così grave perché tocca la pietra angolare della sua reputazione, come in qualsiasi crisi, quel che è necessario è “governare la percezione”, agire in maniera immediata, molto forte, decisa e rilevante per far cambiare la convinzione di audience e stakeholders. Si badi bene, non informare della propria posizione ma agire per far cambiare idea a quanti si sono convinti negativamente. Servono gesti e scelte nette, forti, a grande valenza simbolica, in grado di incidere sul percepito delle audience, che ne interpretino e soddisfino le aspettative. Cosa si aspettano le persone da qualcuno che è accusato di aver lucrato sulla beneficenza? Che si scusi, che mostri dispiacere e che dimostri (dimostri, appunto, non si limiti a comunicare) di aver compreso l’errore, di essersene preso carico e di voler cambiare le cose (magari farsi interprete di un ripensamento profondo del mercato degli influencer e del rapporto con la beneficenza, ad esempio?) perché tutto questo non accada più. In sostanza ricostruire la fiducia nella sua buona fede e correttezza.
A questo punto la domanda sorge spontanea: il silenzio è un atto simbolico e dimostrativo efficace per far cambiare idea in questo senso alle persone?In realtà una uscita sui social c’è stata: una story completamente rivolta alla propria community, nella quale si ringrazia quanti l’hanno sostenuta nonostante tutto. Utile per misurare il sentiment (come dice Matteo Flora), certo, ma che non “parla” a tutte le altre audience e ai suoi stakeholders. Sembrerebbe quasi che la strategia si sia concentrata sulla propria community.
Da considerare che la community è sì la sua forza ma le prospettive di sviluppo (e di business) passano da altre audience e dagli stakeholders, soprattutto da quando Chiara Ferragni si è trasformata da fashion influencer in personaggio pubblico e “politico”. In buona sostanza, se è vero che esista una polarizzazione fra i suoi sostenitori e gli odiatori seriali, gli invidiosi, gli haters e in genere fra tutti quelli che, usando un eufemismo, non la amano, è pur vero che esiste una amplissima parte di persone, dall’atteggiamento più neutrale, che sono fuori dai due poli d’opinione ma che sono quelli che costruiscono poi il consenso reputazionale sul quale si basano le scelte dei brand “clienti” della Ferragni.
Perdere quella parte, non convincerla che lei non sia un’approfittatrice e un’avida senza scrupoli, rifugiandosi nella propria community potrebbe essere una mossa assai perniciosa. Inoltre sta circolando la notizia che la Ferragni avrebbe siglato un importante contratto con una multinazionale e che lo annuncerà a breve. Se confermato questo accordo non nasce in questi giorni. Annunciarlo per dare un segno di continuità e di “tenuta” è sicuramente importante (così come far trapelare la notizia) ma rischia di non essere sufficiente se non inquadrato in una strategia più ampia e decisa. Infine gli errori dei primi momenti di gestione. Ne ho parlato a lungo in un altro articolo, elencandone tre. Qui aggiungo solo che forse il silenzio, l’inattività si candida ad essere il quarto.
A proposito di community
Quasi trenta milioni di followers solo su Instagram la pongono nell’Olimpo degli influencers italiani. In ventuno giorni ne ha persi quasi 200.000, pochi percentualmente
ma, come fanno notare alcuni analisti fra cui Alex Orlwoski e Pierluca Santoro, non è tanto la quantità ma la qualità a contare. Sono andati via i più attivi, quelli che acquistano. Sono rimasti i mass following (ossia quelli che seguono tanti influencer e celebrities) e una grande fetta di profili sospetti, come dice Leandro Diana in un interessantissimo post Se la strategia si appoggia sulla community come “area di comfort” una riflessione anche sulla tenuta e l’affidabilità di questa area andrebbe fatta.
Comunicazione e marketing
Avere un’influencer come Selvaggia Lucarelli che accende i riflettori sul caso Balocco tra dicembre 2022 e gennaio 2023, avere esperti che segnalano la gravità della cosa. Sapere ufficialmente a luglio sempre del 2023, che l’antitrust aveva avviato una istruttoria sul caso, non prevedere lo scenario peggiore e prepararsi adeguatamente e farsi trovare completamente impreparati sotto il Natale dello stesso anno dimostra in maniera plastica quanto la comunicazione e la difesa della reputazione siano tanto importanti quanto sotto stimate. Il marketing è fondamentale per vendere ma solo se hai una reputazione solida.
La politica
Il caso Ferragni è un caso politico. L’influencer è considerata, a torto o a ragione, in “quota” sinistra. Questa polarizzazione ideologica è stata consacrata dall’attacco che le ha rivolto la Presidente del Consiglio (che si è ripetuta nella conferenza stampa di fine anno). Irrituale o meno che sia che la terza carica dello Stato attacchi un’imprenditrice, si è trattato di uno “spostamento” di livello del posizionamento della Ferragni, elemento questo che sarebbe dovuto essere tenuto in considerazione e che dovrà essere tenuto in considerazione.
Gli scenari
Cosa accadrà adesso e cosa dovrebbe fare Chiara Ferragni? Lo scenario possibile è quello di una crisi oscillante. Dopo il picco di questi giorni ci sarà un inevitabile discesa dei volumi e della copertura mediatica ma sarà una calma illusoria. Il danno reputazionale proseguirà a erodere dall’interno i rapporti fra il brand Ferragni e gli altri brand, la prosecuzione degli iter giudiziari e i relativi atti (ci sono ben cinque procure che stanno indagando) provocherà un ritorno di attenzione ciclico e l’esposizione politica garantirà un’immediata reazione e una iper attenzione su questi ritorni di esposizione. Mai come in Italia si fa in fretta a saltare sul carro del vincitore e quindi ad accodarsi al coro dei critici con la stessa passione e devozione che sino a un minuto prima si poneva nel partecipare a quello dei sostenitori. Ciò che deve evitare Chiara Ferragni è di diventare un idolo nella polvere, radioattiva per i brand e non più credibile. Dovrebbe reinventarsi, reinventare il proprio personaggio con una vera “mossa ad effetto”, che stupisca, impressioni, governi la percezione sino a farla mutare. Sul “come” mi fermo perché ha assunto un team di consulenti di altissimo profilo, ma non c’è dubbio che ogni giorno che passa tutto diventi più difficile.