Gli influencer sono cucchiai

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Dal Blog di Piero Tagliapietra

La discussione sull’esistenza, la forza e l’utilità dei cosiddetti influencer è uno dei temi che anima spesso le discussioni di chi si occupa di Social Media e di OnLine Media Relations. La mia posizione sul tema è piuttosto radicale, ritengo infatti che non esistano persone in grado di cambiare le idee o i comportamenti dei propri follower con un post o un update; al tempo stesso ritengo che quelli che definiamo impropriamente influencer abbiano un ruolo chiave nelle strategie delle aziende e nelle decisioni d’acquisto.

Vicinanza ex-ante
La prima riflessione da fare sugli influencer è legata ai follower e sulle ragioni che spingono una persona a seguire qualcuno su twitter o su altre piattaforme. Sicuramente ci sono diversi motivi, ma possiamo identificare un elemento comune: la condivisione (o vicinanza) di interessi. Se mi interessa la politica, molto probabilmente seguirò persone che parlano di politica, se mi interessa il calcio seguirò calciatori, squadre e persone che parlano di calcio e così via: le persone che seguo tenderanno a rispecchiare i miei interessi [1].

Questa non è una novità: in passato le barriere spaziali rendevano possibili solo relazioni con persone fisicamente vicine a me. Oggi, senza questo vincolo, le relazioni si sviluppano indipendentemente dall’area di residenza, basta essere vicini come interessi o passioni: sappiamo bene come le comunità, virtuali e non, tendano a crearsi o ad aggregarsi proprio in base a questo principio.

Vediamo quindi che le persone che seguono un influencer sono già in qualche modo vicine ai valori che questo propone: da un punto di vista semiotico le persone sono già state manipolate (aderiscono già all’oggetto di valore proposto dal destinante [2]). Possiamo avere il caso opposto (ti seguo solo per insultarti perché rappresenti la mia antitesi), ma è analogo al precedente: ho già deciso a priori di non aderire alle tue idee.

Il punto chiave è l’aspetto temporale: seguo qualcuno perché ho già deciso che esiste una qualche vicinanza. Si tratta di una decisione ex-ante e questo aspetto è fondamentale: i miei comportamenti non si modificano, non cambio le mie idee o convinzioni, ma tramite l’interazione con alcune persone attivo alcune azioni che al momento sono solo allo stato potenziale (o virtuale, inteso in senso semiotico [3]): ogni persona è potenzialmente un innesco, un trigger, per determinate azioni.

Una conseguenza di questo fatto è che tutti i nostri follower sono già predisposti a compiere certe azioni che potremmo definire come “preferite” in base alla nostra area d’interesse. Tuttavia questo significa che siamo tutti influenzatori dato dato che possiamo attivare dei comportamenti nei nostri follower e questo significa che nessuno può rivendicare il primato su questo ruolo. Ma a questo punto cosa conta?

Azioni istintive e razionali
Prima di capire che cosa è veramente importante è necessario approfondire il discorso sull’influenza analizzandolo da un punto di vista strettamente più biologico.

Da un punto di vista naturale i processi decisionali sono estremamente complessi e tuttavia incredibilmente semplici: la maggior parte delle nostre scelte infatti rispondono ad una esigenza di sopravvivenza e all’incremento della fitness. Il nostro cervello infatti è ancora quello di cacciatore del paleolitico e le nostre scelte sono fatte a livello istintivo ed emotivo e razionalizzate solo in un secondo momento.[3]

Le decisioni d’acquisto sono frutto di una interazione tra la mente emotiva e la mente cognitiva. Quando acquistiamo un bene principalmente si attivano due aree: il Nucleus Accumbens o (legato al piacere) e l’Insula (aree del dolore). Queste due aree normalmente decidono la maggior parte delle nostre scelte e solo in alcuni casi si attiva la corteccia prefrontale (mente razionale). Il passaparola ha un ruolo importante (influenza in alcuni casi dal 20% al 50% le scelte d’acquisto) ma solo ed esclusivamente nel caso di prodotti nuovi o particolarmente costosi: tutto il resto sono azioni che facciamo sulla base di decisioni già prese ed esperienze già fatte.

Il fatto che le decisioni siano prese dalla componente emotiva è dovuto alla sua enorme capacità computazionale (è in grado di elaborare milioni di dati in parallelo) e alla capacità di apprendere per prove ed errori mentre la mente cognitiva non ha queste risorse (processa circa 14 informazioni al secondo).

Quando siamo online (e in generale in qualunque momento della nostra vita) dobbiamo processare migliaia e migliaia di informazioni: dati sull’ambiente fisico che ci circonda, sui device che stiamo usando, sulle azioni che stiamo facendo sullo sfondo, sull’interfaccia che scorre, sullo status update….tutto questo viene elaborato principalmente dalla parte meno razionale della mente perché quella razionale non ha abbastanza risorse da allocare.

Ad un certo punto, tra questi miliardi di dati che costituiscono in parte del rumore, l’attenzione della nostra mente (per attenzione o “engagement” si intende quando allochiamo volontariamente o involontariamente risorse cognitive su un determinato canale sensoriale) è attirata da uno stimolo particolare. È stato osservato che i meccanismi alla base di questo engagement sono gli stessi che attivano l’attenzione dei predatori ed è ovvio, dopotutto siamo biologicamente cacciatori e soprattutto informivori.

Dato che la nostra sopravvivenza dipende dalla capacità di leggere l’ambiente e di anticiparne i pericoli con un cervello a capacità limitate, uno dei rapporti che cerchiamo di ottimizzare è quello tra informazioni utili e tempo. Online questo si risolve con la selezione di fonti particolarmente “nutrienti” in grado di fornire elementi di qualità nel minor tempo possibile (e questo spiega l’importanza degli hub informativi e la reticenza delle persone a cambiare piattaforma): tutto questo però è fatto a livello inconscio, decidiamo sulla base di informazioni che nemmeno sappiamo di avere. La corteccia prefrontale si attiva raramente e spesso crea o selezione le informazioni in suo possesso per trovare una spiegazione ragionevole per decisioni già prese, ad esempio quando ci chiedono di giustificare un comportamento.

“Da quando è fan della pagina sono variate è più o meno propenso all’acquisto di un bene?” Una domanda piuttosto banale, alla base di molte survey che spiegano il potere de like, ma che non tengono conto del fatto che in molti casi zittiamo la dissonanza cognitiva, che non sappiamo perché facciamo quello che facciamo, che vogliamo dare un’immagine coerente di noi stessi. Tralasciamo il fatto che una domanda del genere sia molto ambigua perché non è possibile stabilire se il like è precedente o antecedente al consumo e se questo abbia effettivamente provocato dei cambiamenti all’interno del comportamento reale.

Questa parte sulle decisioni d’acquisto (di cui ho accennato solo i contorni) è fondamentale per comprendere ancora più a fondo che si tratta di un processo estremamente complesso e variegato ma prevalentemente istintivo.

Mini mass media
Abbiamo detto che siamo tutti potenzialmente in grado di attivare delle azioni che vengono decise a livello istintivo, ma questo porta con sé delle considerazioni importanti per quanto riguarda il rapporto che esiste tra aziende e persone online.

Se tutte le persone sono influencer, se non ho controllo sui comportamenti, se le decisioni del consumatore dipendono da n fattori sui quali non ho il controllo come posso fare attività di comunicazione nel miglior modo possibile? Mi conviene coinvolgere chi abilita un’esposizione maggiore all’interno del mio mercato o del contesto di riferimento.

Per fare chiarezza è necessario distinguere a grandi linee tra attività “one to one”, dove devo curare la singola persona, e altre “one to many” o “few to many”, dove con il minimo sforzo devo entrare in contatto con il maggior numero di persone. Vorrei concentrarmi sulle ultime: in passato le attività di comunicazione venivano gestite esclusivamente tramite mass media (più o meno generalisti) per ottimizzare il rapporto tra costi e visibilità e magari aumentare il numero delle vendite. Una campagna “one to one” sarebbe sicuramente stata più efficace ma con dei costi non sostenibili.

Oggi non è cambiato molto: le risorse sono sempre finite, si cerca sempre di ottimizzare perché alcune attività “one to one” non sono sostenibili. Tuttavia si è visto che le persone tendono a fidarsi più dei propri pari che della pubblicità: ci sono degli studi interessanti su questo tema che mostrano le informazioni vengano recepite in maniera diversa a seconda della fonte e che tutto l’ADV viene catalogato inconsciamente come poco o scarsamente credibile mentre c’è una maggior fiducia negli scambi tra pari. A questo, per ottimizzare, punto meglio coinvolgere alcune persone: gli influencer.

Abbiamo detto che non esistono persone in grado di influenzare i comportamenti, ma ci sono soggetti con un ampio seguito che possono essere considerati degli “attivatori di comportamenti latenti o potenziali” dato che i follower sono già soggetti manipolati: più che di influencer possiamo quindi parlare di “mass trigger” o “mass activator” (non ho ancora trovato un nome giusto, le proposte sono più che ben accette).

Il fatto è che questi “mass trigger” non sono altro che mini mass media con elevata capacità di attirare l’attenzione la cui massa varia dinamicamente a seconda del tema di rifermento, della piattaforma e del momento specifico. L’attenzione inoltre non è un elemento stabile, ma varia dinamicamente anche a seconda della piattaforma presa in considerazione e dal device che usa il lettore per fruire dei contenuti.

Diventa quindi evidente come per alcune attività specifiche le aziende possano intraprendere delle azioni con alcuni soggetti con un ampio seguito per attivare dei comportamenti latenti: ovviamente queste attività dovranno essere pianificate con attenzione dato che non sono solamente i numeri di follower o di mention a determinare il ruolo di “mass trigger”

Conclusioni
Alla fine una breve sintesi del percorso fatto:

Le persone online sviluppano legami per interesse
I follower sono già predisposti a compiere certe azioni o ad ascoltare certe notizie
I comportamenti sono principalmente istintivi e non razionali
Le persone ottimizzano il rapporto tra informazioni utili/tempo
L’engagement è la capacità di attirare l’attenzione
Le aziende hanno risorse limitate e devono ottimizzare il rapporto costi/risultati
Non esistono persone che possono modificare il comportamento
Tutti i soggetti possono attivare comportamenti latenti ed essere trigger
Dovendo ottimizzare le risorse un’azienda coinvolgerà i “mass trigger”
Esistono dei “mass trigger” la cui massa varia dinamicamente a seconda del tema di rifermento, della piattaforma, della posizione nella rete e del momento specifico
Sono molto interessato a commenti e a ulteriori considerazioni sul tema
Featured image: Photo by Kevin Labianco – http://flic.kr/p/owHz8

 

1 Su questo punto consiglio la lettura di quanto scritto in World Wide We by Mafe (uno dei testi di riferimento a mio avviso per capire le logiche di funzionamento delle community)
2 In semiotica si distingue tra destinante e destinatario. Queste sono due figure attanziali: il destinante è colui che propone un oggetto di valore (che è un luogo di accoglimento dei valori, non un oggetto fisico) a un destinatario che può decidere o meno di aderire a quell’OV. Durante questa fase, detta manipolazione, il destinante cerca di instaurare nel destinatario un voler fare o un dover fare in relazione a un determinato Programma Narrativo. In alcuni casi destinante e destinatario possono convergere su un unico attore (in alcuni casi anche l’anti-destinante).
3 In semiotica si distinguono tre modi di esistenza: virtuale, attuale, reale. Un Programma Narrativo (PN) è virtualizzato quando il destinante ha instaurato nel destinatario un dover o un voler fare (il soggetto ha iniziato ad aderire ai valori proposti). In questa fase il soggetto contempla l’idea di compiere l’azione, ma non ne ha ancora le capacità. La fase Attuale è quella nella quale il soggetto si dota anche del saper fare e del poter fare: in questo modo oltre alla volontà egli si dota delle conoscenze necessarie per portare a termine il compito (ma ancora non l’ha fatto). Nella fase reale avviene effettivamente la trasformazione. Per approfondire i tema consiglio quello che è stato uno dei miei testi di riferimento all’università: Maria Pia Pozzato, Semiotica del Testo, Carocci