Io wiki. E tu? – Intervista a Tommaso Sorchiotti

1746

Sei considerato un esperto (molti direbbero “guru”) del “personal branding”. Ritieni che prendersi cura della propria “immagine collaborativa” online possa essere un modo per rafforzare il “proprio personal branding”?
Ti ringrazio per avermi salvato dal “guru”. Quello che dici è fondamentale. La cura della propria reputazione, di ciò che gli altri pensano di noi, e della propria immagine sono alla base di ogni Brand Personale. La Rete e in particolare gli spazi relazionali, come blog e social network, ci mostrano quanto contano credibilità ed autorevolezza, oltre che le esperienze di ogni persona. Non a caso sono spazi che stanno quasi annullando il concetto di anonimato, inteso in senso classico. Collaborare con gli altri per la creazione del proprio Brand può sembrare un paradosso, ma è ciò che avviene normalmente sul Web.

Ti è mai capitato di integrare o correggere una voce dell’Enciclopedia Libera? Ritieni utopistico un modello economico in cui il Sapere sia libero e condiviso?
Sì, certo. Ho inserito alcune voci come utente registrato, mentre talvolta, quando si tratta di piccole revisioni, ho modificato al volo. Sul modello economico ci sarebbe molto da discutere. Ho l’impressione che gran parte delle persone leghi il valore di un prodotto o di un servizio al contesto e al riferimento economico. Magari è solo uno scalino culturale/generazionale.

Quanto è importante nella cura del proprio “personal branding” la proprietà intellettuale? Secondo te “cultura open” e “paternità dell’opera” sono due concetti che rischiano di annullarsi a vicenda?
No, secondo me devono solo trovare il giusto equilibrio. Ho tantissimi esempi di situazioni in cui più si “regala” alla Rete e più la Rete restituisce anche in termini di Brand Personale. Rendere le proprie opere e i propri contenuti liberi di girare in Rete è solo una grandissima opportunità. Guardavo l’altro giorno il profilo Twitter di Jovanotti, che linkava i remix (scaricabili) del suo ultimo pezzo su SoundCloud. Non so quanti altri artisti italiani hanno la stessa apertura e lo stesso approccio culturale al proprio lavoro.

Sei stato definito il primo “tumblero” italiano. Dal 2007, quando fu lanciato Tumblr, ad oggi il panorama dei Social Media è cambiato molto. Twitter, Facebook & co. hanno preso il sopravvento e gli utenti condividono qualsiasi cosa e ovunque. Cosa ne pensi?
Il panorama negli ultimi anni si è frammentato e ci sono servizi per ogni bisogno e per ogni modalità espressiva. Se prima il blog era l’unico spazio per essere blogger, negli ultimi anni si sono affermati tantissimi “blogger senza blog”, persone che utilizzano diversi servizi per condividere interessi, informazioni, opinioni, punti di vista ecc..
Oggi le persone che non vengono da una “cultura blog” di condivisione e partecipazione stanno facendo i primi passi in ambienti social, con tutte le conseguenze del caso. Ragazzi che condividono in maniera leggera opinioni su professori o le foto dell’ultima festa a cui hanno partecipato, ignorando quale può essere l’impatto effettivo di certi contenuti. Anche tra le persone un po’ più grandi, c’è sempre la sensazione che si sta parlando con i propri amici e non, quasi sempre, all’intero pianeta. C’è tanto entusiasmo e poca consapevolezza, ma penso sia normale.

Pensi che un’educazione scolastica ai nuovi media aiuterebbe a canalizzare la voglia di “condivisione” verso progetti e iniziative collettivamente utili oltre che alla socializzazione?
Penso che le istituzioni formative dovrebbero offrire una possibilità per creare un’alfabetizzazione minima. Siamo fermi al pacchetto Office o poco più. E di fatto nella stragrande maggioranza dei casi i percorsi formativi servono a preparare le persone ai lavori dell’altro ieri, non di oggi. Figuriamoci in un mondo in cui ogni 4 mesi è come se passasse un anno. Poi ognuno può consapevolmente decidere se utilizzare il proprio tempo su progetti collettivamente utili o al cazzeggio.

Recentemente hai scritto Personal brandig. L’arte di promuovere e vendere se stessi online. Secondo te, ad oggi, i tempi sono “maturi” per la pubblicazione di un libro su come essere un buon “wikiman”?
Immagino di sì :)

Il titolo della tua tesi di laurea è “Come cambia la comunicazione nel web 2.0”. Secondo te la “cultura wiki” che ruolo ha in questo cambiamento?
E’ un cambiamento costante, che credo faccia parte integrante del concetto di comunicazione. La cultura Wiki ha un ruolo importante, determinato dall’impatto che ha il lavoro di due o più persone che si riuniscono attorno ad un progetto comune. La Rete in questo è uno spazio pieno di opportunità, sta alle persone capirle e coglierle fino in fondo.

Tramite il nostro web magazine ci imbattiamo tutti i giorni in siti, iniziative, idee ecc che sposano la “cultura wiki”. C’è un’iniziativa simile che ti ha particolarmente colpito?
Ho intercettato ed apprezzato particolarmente la Sneakerpedia promossa da FootLocker come esempio di un progetto non necessariamente di interesse mainstream, ma che coinvolge in maniera forte una nicchia di persone. Un altro caso interessante, che per esteso si può far rientrare nella “cultura wiki”, è l’esperimento di Tim Burton Cadavre Exquis che attraverso Twitter con il contributo di una novantina di persone, ha scritto una storia su di un piccolo personaggio, Stainboy.

Pensi che la cultura collaborativa attuale resterà una tendenza di nicchia o potrebbe nei prossimi anni affermarsi prepotentemente?
Le premesse sono ottime per una progressiva affermazione a tutti i livelli. Le persone spingono per poter conoscere e partecipare; le istituzioni e le aziende stanno realizzando che è una perdita del potere necessaria. E’ il nuovo approccio che lo richiede. Sto seguendo con attenzione il terremoto causato da Wikileaks. Mi sembra un altro piccolo passo verso un’apertura reale e non conflittuale, nel caso specifico di informazioni importanti. E, come scrive John Naughton sul Guardian: “I nostri governanti devono fare una scelta: imparare a vivere nel mondo di Wikileaks, con tutto ciò che comporta per il futuro o chiudere internet. A loro la scelta”.

Mattia Marasco & Tommaso Galli

1
2