Si può affermare una posizione con una pesca? Esselunga lo ha fatto, ottenendo un bel risultato: numeri sui social che neanche le partite della Nazionale, nettissima polarizzazione delle audiences, copertura mediatica degna di un grande fatto di cronaca nera e politici che si esprimono pro e contro. L’intera infosfera chiamata a pronunciarsi se quello spot sia pro o contro il divorzio. Partiamo da qui: lo spot è reazionario e critico verso la legge 898 del 1970? No, l’obiettivo del corto non è riaprire la discussione su questo tema o proporre un nuovo referendum. È una presa di posizione valoriale. La “scelta di campo” è parlare ai genitori separati o divorziati, condividendo con loro la constatazione, indiscutibile, che quando una coppia scoppia, i figli ne soffrono. Questo non vuole gettare la croce sulle spalle delle mamme e dei papà che hanno deciso di separarsi, solo parlar loro condividendo qualcosa che a loro è molto chiaro: i figli provano dolore e sperano e cercano sempre di riunire i genitori. È come dire: “ti capiamo, sappiamo quanto sia difficile far convivere la decisione che hai preso con i sensi di colpa e la consapevolezza del dolore che prova tuo figlio”.
Perché parlare a quella, ampia, categoria di persone? Perché loro non si riconoscono negli stereotipi della famiglia felice, quella della giocosa colazione tutti insieme nella cucina grande e bellissima, e parlare a loro significa parlare proprio a tutti quelli che in quel modello per i più svariati motivi non si identificano. Una scelta del genere mette tutti d’accordo? No, assolutamente no e questo in Esselunga lo sapevano bene. Immagino ci siano stati studi, dati, analisi prima di prendere una decisione simile e, su quella base, la definizione di una strategia precisa, concretizzata in quello spot.
Esselunga ha cercato la polarizzazione, ha preso una posizione valoriale, consapevole che avrebbe scontentato una parte delle audiences e lo ha fatto anche e soprattutto per esigenze di differenziazione da tutti gli altri brand della grande distribuzione. Lo ha fatto per riprendere in mano la narrazione, sino adesso concentrata sugli aspetti ereditari dopo la scomparsa del fondatore, con alcune beghe giudiziarie che non aiutavano sul fronte reputazionale e anche per uscire da quella dimensione iperlocale, che la posizionava come i supermercati dei milanesi.
Hanno fatto bene? Tecnicamente la necessità di riprendere in mano la narrazione è indiscutibile. La scelta di farlo con quello che viene definito “marketing emozionale”, scegliendo di assumersi la responsabilità di una “battaglia” di valore per le famiglie non tradizionali, si anche, per i motivi che abbiamo elencato sopra. Lo spot in sé è stato realizzato nel modo più efficace per realizzare tutto questo? Il corto è di ottima qualità, la bambina è bravissima, così come i due attori che interpretano i genitori. La narrazione è fluida e potente, gli elementi simbolici molto chiari e netti, anche se, a livello simbolico, aleggia una certa “colpevolizzazione” verso i genitori e alcune scelte narrative, in particolare verso la figura della madre, lasciano aperte interpretazioni non univoche e non sempre positive.
Qui si entra infatti nel campo percettivo. Ogni audience dà allo spot l’interpretazione che vuole, sulla base delle proprie sensibilità, scale valoriali, orientamenti morali e ideologici. Esselunga voleva parlare a un’audiences precisa e ha utilizzato i sistemi simbolici e valoriali più adatti per entrarci in sinergia. Per queste audiences da adesso Esselunga sarà “quella della pesca”, con tutto il bagaglio valoriale e di percezione di empatia e vicinanza che si porta dietro. Per le altre sarà lo stesso, ma la percezione sarà di alterità e lontananza.
Ma di quali audiences parliamo? Storicamente Esselunga non è nota per essere, come azienda e sulla base dell’impronta del suo fondatore (nella foto un suo famoso libro), vicina al mondo progressista. Questo spot è coerente con questo posizionamento storico? A giudicare dal modo in cui si è composta la polarizzazione, in particolare quella politica, a partire dal Presidente del Consiglio, sembrerebbe di sì. La domanda che a questo punto sorge spontanea è: per una catena di grande distribuzione, che in teoria vende a tutti, è strategicamente corretto “ideologizzare” il proprio posizionamento?
Non ho elementi per una risposta compiuta ma questo sì, mi lascia qualche perplessità, anche se ragionando sul momento politico attuale, qualche idea me la faccio.