In un sito dedicato alle On-Line Media Relations non ci si aspetterebbe che qualcuno sollevi la questione della “scrittura creativa”. La creatività dello scrivere – viene da pensare – ha a che fare con attività letterarie “alte”, mentre le pubbliche relazioni attengono alla comunicazione fatta a fini pratici, che poco guarda all’estetica e all’articolazione del ragionamento, o alle sfumature. Insomma, il professionista dell’OLMR sa che c’è poco tempo per leggere e per pensare, i messaggi si moltiplicano e bisogna andare al sodo…
Non penso, però, che sia questo il messaggio contenuto nel libro di Daniele Chieffi “On Line Media Relations”, nonostante che nella parte più manualistica del testo ci siano precise indicazioni circa il modo con cui rendere concisa la comunicazione dei professionisti degli OLMR (pag. 123).
Il fatto è che queste indicazioni, sicuramente doverose visti gli intenti manualistici dell’autore, non esauriscono il messaggio che Chieffi voleva dare, almeno per come l’ho inteso io. Al contrario, la comunicazione On line emerge dal testo come un processo complesso, che si presenta sempre più come comunicazione multi direzionale e che si basa sullo scambio con gli appartenenti a una o più “community” di riferimento.
E’ per questo che gli scambi comunicativi non possono essere descritti solamente in riferimento al semplice pezzo scritto. Al contrario, questo va inteso come un elemento nell’ambito di un flusso comunicativo ampio al quale partecipano numerose persone. Scrivere – parte importante della comunicazione on-line rimane un fatto scritto – è un atto che non può essere facilmente interpretato al di fuori del contesto costituito da quanto gli altri vanno scrivendo, di quanto coloro che appartengono alla “community” affermano e dibattono.
Se così stanno le cose ha senso farsi domande circa la creatività della scrittura. Se l’atto di scrivere non è così semplice come il reperto scritto, preso a sé stante, suggerirebbe – che dovrebbe essere preferibilmente essenziale, sintetico – allora, forse, è utile domandarsi a quali condizioni la scrittura può essere creativa. Sul blog “Parole d’inchiostro” si trova un bel post intitolato significativamente “Scrittura non creativa?”. L’autrice – una sceneggiatrice e linguista – sostiene che “per la maggior parte dei comuni mortali la creatività è la capacità di assemblare, modificare, connettere, trasformare, aggiustare, manipolare (e molti altri verbi potrebbero essere aggiunti a questo elenco) cose che già esistono con lo scopo di dare vita a qualcosa che, fino a quel momento, esisteva soltanto nella propria immaginazione o non esisteva affatto”. Insomma, secondo questo approccio, che condivido, la scrittura in genere, e non solo quella di romanzi, tende ad essere un fatto creativo.
Ho trovato in questa frase, se non una descrizione, quanto meno un utile indizio per capire meglio quanto avviene nelle “community” del Web. Non sono questi luoghi virtuali in cui ci si parla addosso, magari degradando il linguaggio. Certo, molte volte è così, ma non sempre e non necessariamente. In una community, cioè, si finisce per partecipare a un atto creativo collettivo. Da come si contribuisce a questa costruzione – e lo si può fare solo facendone parte in maniera attiva – si acquisiscono credibilità, autorevolezza e reputazione. Per essere un gatekeeper bisogna stare nella rete. L’essere un gatekeeper, non è un carattere di cui si è portatori naturalmente, non è una rendita di posizione, ma dipende dalla situazione in cui ci si trova e da come si agisce in questa situazione. Naturalmente, il talento conta, ma deve essere speso continuamente e in maniera appropriata e pertinente. In una comunità creativa fatta da gente che scrive – certo non romanzi -, acquisti titoli di merito se aggiungi qualcosa alla creazione complessiva.
La condizione per essere gatekeeper, inoltre, consiste nel fatto che bisogna essere conosciuti in un dato contesto di riferimento. Chi si connette deve sentire la necessità di interrogarti per avere un parere o una notizia, e la sente se sa che il tuo contributo produce un “di più”. Quando c’era un solo TG si era conosciuti per definizione. Con i giornali valeva un principio analogo: o si era “grandi” o non si era. In questo quadro, l’autorevolezza era più scontata. Tutti non potevano far altro che guardare te, avevano aspettative precise e molto dipendeva dall’attenersi agli standard. Ma il fatto che fossi tu a rispondere a queste aspettative, grosso modo, non era messo in questione da nessuno. Oggi, con il Web 2.0, la situazione è competitiva. Devi conquistare uno spazio che, in misura di gran lunga maggiore che in passato, è contendibilissimo. Essere autorevoli in questo contesto è molto più difficile, non basta essere bravi e intelligenti. Bisogna essere presenti e attivi. In un contesto di continui lavori in corso si è pertinenti se si contribuisce alla costruzione, che avviene senza soste.
Ognuno, naturalmente, interpreta questo ruolo alla sua maniera: chi con lo scandalismo, chi con il gossip, chi con mezzi meno criticabili e più articolati. Ma questo intervento continuo, inevitabilmente creativo, deve essere riconosciuto come un fatto centrale. Ritengo che sia per questo che, oramai, tutte le grandi testate on-line promuovono blog delle loro grandi firme e, in generale, chiedono il parere dei lettori. Repubblica, addirittura, manda on-line le proprie riunioni di redazione. Un grande giornale come Repubblica sa, cioè, che per rimanere un gatekeeper, deve esercitare questo ruolo stando alle nuove regole, cioè stando nella rete in maniera partecipativa e inclusiva, comunque attiva. L’autorevolezza, nell’età dell’accesso dilatato, nasce in maniera relazionale e biunivoca. La dimensione professionale della autorevolezza – quella, per intenderci, che le grandi testate riescono a garantire meglio per via dei costi che implica – è importante e ha rilievo. Tuttavia, il semplice rispetto degli standard professionali, da solo, non spiega il tutto. Sei autorevole perché il lettore/scrittore di una community sa che contribuisci al flusso creativo che si produce nella rete, e sa come lo fai.
Andrea Declich