Niente affatto. Il problema è che pochi si sono preoccupati di controllare da dove quasi tutte le macchine partono per entrare in autostrada. O, per uscir di metafora, di controllare il vero gatekeeper, ossia il guardiano del cancello che tantissimi usano per accedere alla Rete: Google. Tra questi pochi c’è Andrew Odlyzko, accademico del Digital Technology Center dell’Università del Minnesota: “ Quando anche la net neutrality dovesse prevalere, il conflitto potrebbe semplicemente spostarsi su un altro livello”,spiega Odlyzko; “ Quel livello potrebbe essere la search neutrality”.
Google e neutralità – per quanto Eric Schmidt e soci si siano fatti promotori di una forma annacquata di net-neutrality – sono due termini difficilmente conciliabili. Google si basa su un insindacabile algoritmo che stabilisce la “rilevanza” di un sito a discapito di un altro, crea canali di accesso facilitati per siti già di per sé frequentati e molto popolari, decide arbitrariamente chi far salire e chi far scendere nella propria classifica di visibilità (come nel 2006 con Foundem), compila liste nere dei termini da oscurare nelle sue anteprime, e presto, grazie alla contextual discovery, proverà anche a fornire risultati di ricerca prima ancora che l’utente posa riempire la search bar. Non solo: a partire dal 2007, con il lancio di Universal Search, Google ha cominciato a inserire in primo piano tra i risultati delle sue ricerche i link ai propri servizi specifici, favorendo in questo modo l’utilizzo di servizi come Google Maps e Google Product, penalizzando di fatto la concorrenza.
Perciò sarebbe saggio prepararci a monitorare quello che accade, e tenerci pronti a intervenire imponendo regole di neutralità quando necessario ”.
Mentre il dibattito sulla search neutrality imperversa in Rete, un giurista della New York Law School, James Grimmelmann, afferma che la neutralità della ricerca web è una chimera irrealizzabile, e che anche se fosse realizzata, potrebbe rivelarsi persino dannosa per l’utente. Grimmelman ha individuato gli otto principi base che i fautori della search neutrality vorrebbero imporre ai motori di ricerca come Google, e li demolisce uno a uno. In sostanza, per poter rispondere a canoni di “autentica neutralità”, un motore di ricerca dovrebe: considerare ogni sito come uguale a qualsiasi altro, fornire solo risultati corretti, individuare e filtrare notizie false, mantenere fra i risultati anche quei siti che hanno un traffico altalenante, utilizzare come solo parametro di ricerca la rilevanza del contenuto, fare in modo di non privilegiare i propri contenuti o servizi, evitare di promuovere o penalizzare arbitrariamente alcuni siti e, soprattutto, rendere pubblici gli algoritmi di ricerca.
Come spiega dettagliatamente nel suo saggio Some skepticism about search neutrality, il problema non è solo che questi principi sono (almeno in larga parte) inapplicabili, ma anche che otterrebbero solo di “ rendere gli utenti vulnerabili a quel tipo di manipolazione da cui la search neutrality vorrebbe proteggerli”. Per quanto parziali e strumentalizzabili, dice in sostanza Grimmelman, gli attuali motori di ricerca rappresentano una necessaria alternativa a una Rete priva di mediatori in cui prevarrebbe la voce del più ricco. Insomma, secondo il giurista la search neutrality non migliorerà le cose perché, conclude: “ Far sì che i motori di ricerca si comportino in modo neutrale non porterà necessariamente a risultati di ricerca neutrali”.
La controversa tesi di Grimmelman ha gettato altra benzina sul fuoco del dibattito. Intanto, negli Stati Uniti la battaglia per la net neutrality continua, e si combatte anche a suon di app. La Federal Communications Commission americana, da mesi sul piede di guerra in difesa dei tentativi di imbrigliare l’open web a scopo di lucro, ha lanciato in questi giorni un’iniziativa chiamata Open Internet Apps Challenge. Fino al 2011 sviluppatori e programmatori web sono invitati a realizzare applicazioni che diano all’utente il potere di monitorare e segnalare qualsiasi episodio che dimostri un’ effettiva interferenza da parte dei provider di Rete nell’accesso a un particolare sito o contenuto.
L’unica cosa probabile, per ora, è che non ci saranno corsie preferenziali in autostrada. E a vegliare sui caselli continuerà a pensarci Google.
da Wired