Mi ha provocato rabbia e preoccupazione sapere da Roberto Esposito, dopo aver pubblicato il mio post sullo studio di Marco Camisani Calzolari, che lo stesso Camisani è oggetto di pesanti minacce e intimidazioni proprio a causa di quello studio. La rabbia nasce dalla constatazione che quello che doveva essere un luogo di confronto ricco e libero, costruito concettualmente sulla condivisione e sull’arricchimento delle intelligenze, si sta trasformando in un’area urbana con vicoli bui e maleodoranti dove scorrazzano squadracce di picchiatori fascisti, pronti ad assalirti vigliaccamente in branco, per poi fuggire dalle fogne da cui emergono.
“La rete altro non è se non un ecosistema sociale che replica, amplificate, le dinamiche umane” dico sempre ai miei studenti ma sbattere contro la constatazione che il Web stia perdendo la sfida nel tentare di rendere migliori i suoi utilizzatori e che, anzi, sta importando ed esaltando le peggiori manifestazioni del lato oscuro dell’umanità è ben triste.
Tempo fa postai l’articolo del Fatto quotidiano che raccontava gli indicibili insulti che uno dei poliziotti, condannati definitivamente per l’omicidio Aldrovandi, aveva rivolto, sempre su Facebook, alla madre dello stesso ragazzo sul quale quel tutore dell’ordine aveva spaccato il proprio manganello. Commentai dicendo “non trovo le parole per esprimere la mia indignazione. Conosco bene i poliziotti, so quanto sacrificio costi il loro lavoro e quanto senso del dovere e dell’onore abbiano, dovrebbero essere loro a censurare il più decisamente possibile le parole del loro, ormai, ex collega”. Un commento che utilizzava anche termini che non appartengono alla mia scala valoriale ma che dimostravano, così credevo, il rispetto per quegli uomini e donne. Rispetto che ho imparato a dimostrar loro, da quando, scrivendo di cronaca nera, ci lavoravo spalla a spalla.
Per quel commento iniziai a essere attaccato in maniera incredibilmente violenta, da persone a me completamente sconosciute. Insulti davvero pesanti, che non risparmiarono alcun componente della mia famiglia, ascendente o discendente, sino a sfociare in minacce piuttosto esplicite. La cosa, devo dire, si è poi sgonfiata abbastanza in fretta ma il tono e la crudezza di quel che mi era stato detto mi ha portato a cancellare quel post, per far sparire anche i relativi commenti.
Un piccolo episodio, che potrei sommare al commento di risposta a uno mio, nel quale sostenevo che un paese civile si riconosce dalla qualità dell’assistenza che sa garantire a disabili e meno fortunati e lo dicevo, chi mi conosce lo sa, a ragion veduta. L’allegro personaggio che mi rispose sostenne che: “per handicappati, zingari, ebrei e froci la soluzione è stata trovata 60 anni fa. Se vuoi sprecare i miei soldi per curarli forse sei come loro… chissà con chi ha sc… tua madre” (mi sono preso la libertà di elidere la parola). Piccoli episodi, ripeto, che, però lasciano qualcosa più dell’amaro in bocca e che si stanno moltiplicando e qui nasce la preoccupazione.
Su questo tema Roberto Scano ha scritto un bel post che, devo dire, condivido in pieno. Il Web è diventato uno sfintere attraverso cui la società evacua i suoi istinti più bassi? Sembra che la deriva sia in atto e niente sembra in grado di arrestarla. Quello che sta capitando a Marco Camisani Calzolari fa però nascere qualche elemento ulteriore di preoccupazione. Qui stiamo parlando di “violenza politica”, di manganellate verbali e risuonano echi sinistri che non avremmo mai più voluto sentire.
Stiamo perdendo una grande occasione. La Rete può e deve essere un’arena di idee, un luogo di confronto e scambio e di crescita collettiva. Ho criticato il lavoro di Marco Camisani Calzolari ma rispetto l’uomo e difendo la sua libertà di dire ciò che vuole. L’ho criticato motivando la mia posizione con una tesi precisa, che ha innescato un bel dibattito sul Web. Alcuni erano d’accordo con me, altri no. Qualcuno mi ha mosso osservazioni che mi hanno insegnato qualcosa. L’intelligenza collettiva ha lavorato, è cresciuta, forse dopo questo piccolo dibattito siamo tutti un po’ migliori e mi aspetto che Marco Camisani Calzolari, se vorrà, critichi il mio di lavoro e io accetterò, magari controbatterò e forse, alla fine saremo un po’ migliori sia io che lui, cosa di cui, sono certo, potremmo discutere serenamente di fronte a un caffè.
Nel Web che vogliamo non c’è spazio per picchiatori violenti o beceri aggressivi. Forse suonerà retorico ma credo che stia un po’ anche a noi, che sul Web lavoriamo, che di Web, alla fine, viviamo, fare la nostra parte per innalzare il livello del dibattito, per cercare di aumentare il livello culturale e umano. Arrendersi non può e non deve essere la scelta.