Per una nuova etica della comunicazione

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La comunicazione verticale, compiacente, promozionale, è un modello perdente, soprattutto nella Rete. I destinatari dei messaggi sono portatori di istanze diverse, più complesse, più ricche e sofisticate ma che si possono riassumere in coinvolgimento e partecipazione. Come scrive  Pierre Zémor, nell’articolo pubblicato sul sito di Ferpi, che riportiamo in basso, “… è ancora necessario riscoprire il compito prioritario di una vera comunicazione che consiste nello stabilire la relazione senza la quale non può passare nessun messaggio”.  

La tesi di Zémor muove dall’osservazione dell’utilizzo – e del relativo fallimento – dei paradigmi comunicativi commerciali alle istituzioni pubbliche: “il marketing, i collaudati strumenti della pubblicità e della gestione dell’immagine, il culto della marca sono stati molto utili per le imprese. Forte di questi successi la comunicazione ha avuto la tentazione egemonica di dettare le modalità di espressione alle Istituzioni pubbliche, ai media e alla politica”. Se la misura dell’inefficenza di questi modelli nella comunicazione delle Istituzioni pubbliche, teorizzata da Zémor, è incontrovertibile, le sue stesse argomentazioni aprono uno squarcio di verità anche nel mondo della comunicazione aziendale, nelle media relations, ovvero proprio su quel luogo che aveva generato i paradigmi emigrati nelle comunicazione degli enti politici.

La comunicazione verticale, che fa discendere un messaggio dall’alto dell’emittente verso il basso del ricevente, con solo l’anima promozionale e autoritaria di voler costruire un’immagine positiva a tutti i costi è, sul web, perdente. I destinatari, dicevamo in apertura, sono portatori di istanze più complesse e ricche. E’ il concetto stesso di cliente ad essersi espanso, ad aver assunto nuova coscienza di sè, inglobando una serie di diritti che ci si aspetta vengano rispettati. Diritto al riconoscimento del proprio ruolo di stakeholder, innanzitutto. Diritto all’informazione puntuale, trasparente e immediata, al coinvolgimento nelle decisioni aziendali, diritto al dialogo, allo scambio e al confronto. E questo solo per citarne alcuni.

La Rete costringe, quindi, a una nuova etica della comunicazione, che Zémor vede necessaria per le istituzioni pubbliche, affinché riconoscano che i destinatari dei loro messaggi sono innanzitutto “cittadini e non solo utenti” ma che è altresì fondamentale per chiunque sia in Rete e quindi anche per le aziende come per i singoli.

Per chi fa media relations e si confronta quindi con la moltiplicazione delle fonti informative online, si tratta di un assunto fondamentale. I media online, che, come si sa, non sono solo i mainstream ma anche blogger, influencer, opinion maker, chiedono un approccio “etico” alla comunicazione online. Una etica web, s’intende, o meglio una nuova etica della comunicaizone web, basata sul coinvolgimento, il confronto, la partecipazione, sul coinvolgimento nel web secondo le aspettative, le regole e le istanze del web

 

Crisi: un’occasione per ripensare la comunicazione
In tempi di crisi la comunicazione deve rendere conto della propria esistenza. Questo aspetto può essere un’opportunità per superare quella comunicazione che, trascurando la relazione, dimentica il proprio interlocutore. Fatto ancor più grave se avviene in ambito politico. Pierre Zémor analizza la situazione in Francia con parametri validi anche per il nostro paese.

di Pierre Zémor consigliere di Stato di Francia, presidente della FEACP (Federazione Europea delle Associazioni di Comunicazione Pubblica) e del ‘Cercle des 5 communications’ , già presidente della ‘Commission Nationale du Débat Public’.

La comunicazione così come viene intesa da pubblicitari e giornalisti è ormai caduta in discredito, soprattutto per colpa della politica. Durante i “30 anni gloriosi” del grande sviluppo economico aveva acquisito titoli di nobiltà e conservato un volto rispettabile svolgendo un ruolo importante nella società dei consumi. Infatti il marketing, i collaudati strumenti della pubblicità e della gestione dell’immagine, il culto della marca sono stati molto utili per le imprese. Forte di questi successi la comunicazione, ora esaltata, ora condannata senza appello, ha avuto la tentazione egemonica di dettare le modalità di espressione alle Istituzioni pubbliche, ai media e alla politica. Tuttavia le buone intenzioni di utilizzare la comunicazione per finalità sociali o per lo sviluppo sostenibile, sono svanite. I grandi gruppi hanno privilegiato i messaggi rivolti ai loro azionisti e incoraggiato le operazioni speculative. Le derive finanziarie, infine, hanno incrinato l’immagine degli istituti bancari e delle imprese.

Il registro della propaganda è diventato moneta corrente e si è finito con l’accontentarsi di facili proclami, di effetti annuncio invece di azioni.

Il paradigma della concorrenza che ha guidato finora la comunicazione ha prodotto molti effetti perversi. L’attualità fa premio. L’urgenza dell’evento prevale sulla riflessione a lungo termine. Si trascura l’investimento, puntando più sulla vetrina che sul laboratorio, più sull’aspetto commerciale che sulla R&S. Si mira a valorizzare la catena “ricercatore-ingegnere-produttore-finanziatore-venditore-speculatore”, muovendo a ritroso, cioè dallo speculatore. Assistiamo così al paradosso di una comunicazione che nega il valore del tempo! Trascura la relazione e dimentica l’interlocutore.

Nei periodi di crisi, il semplicismo e gli abusi della “com” sono intollerabili. Oggi la comunicazione è chiamata a render conto del suo ruolo, dell’utilità dei suoi costi, dei suoi atteggiamenti collettivi, educativi, creativi, interattivi…. Le modalità di comunicazione, di fatto poco diversificate, non rispondono più ai differenti obiettivi che perseguono le imprese, le Istituzioni pubbliche, le associazioni, le ONG, le aggregazioni della società civile, la classe politica e anche i giornalisti e gli editori dei media.

I giornalisti e alcuni intellettuali che puntano sulle virtù dell’Informazione, con la I maiuscola, per contrastare il dominio di una logica esclusivamente promozionale, denunciano la strumentalizzazione dei media, le manipolazioni, e scelgono le loro fonti – protette dal segreto – per fare del giornalismo investigativo. Tutto ciò è un bene per la democrazia.

La Società dell’informazione, nata nell’ambito del giornalismo, mirava a ridurre le pressioni eccessive della società dei consumi. Questi nuovi orientamenti della comunicazione si sono imposti grazie al digitale, con l’informatica e gli sviluppi del web, consentendo un grande accesso all’informazione e al sapere, ma senza offrire garanzie sufficienti sui contenuti.

Si apre così il regno delle reti, dopo lunghi secoli di informazioni calate dall’alto e verità ufficiali. L’interattività e la possibilità data a ciascuno di far sentire la propria voce, consentono di opporsi al non-senso tipico di una comunicazione univoca, verticale e compiacente … continua a leggere qui