Pubblicità e informazione: relazione pericolosa anche sul Web

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Quello che colpisce è la sorpresa. Non sono nuove indagini che esplorino il rapporto fra informazione e pubblicità, ovvero quanto la seconda sia in grado d’influenzare la prima. Chiunque abbia lavorato in un giornale o in un ufficio stampa in Italia conosce bene il silenzioso lavorio sotterraneo di pianificazioni e copertura giornalistica e la stretta relazione “pericolosa” che le lega. E proprio “Informazione e Pubblicità: Le relazioni pericolose”, si chiama questa ricerca curata dal Gruppo di lavoro sulla Qualità dell’ informazione del Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti e dal LaRiCA Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, che ha investigato se e quanto la pubblicità condiziona la linea editoriale delle testate del nostro Paese.

I risultati sono, ovviamente, tutt’altro che sorprendenti ma non per questo meno sconfortanti. La relazione c’è, è solida ed è sempre più pericolosa. L’investimento pubblicitario traina “buona e ampia copertura” per l’investitore, sulle pagine del giornale che ha ricevuto l’investimento. La novità di questa ricerca è che include anche l’online. E lì ci sarebbero da fare tutta una serie di discorsi, a cominciare dalla vulnerabilità dei piccoli e medi editori online, vulnerabilità che li porta a essere sicuramente più sensibili alle sirene dei centri media. E ancora, vogliamo parlare dei blog o almeno di quelli che si agganciano alle piattaforme di feeding di agenzie web e “viralizzano” campagne pubblicitarie? In sintesi, quel che colpisce è che il web non è riuscito a invertire l’odiosa tendenza a mischiare informazione e pubblicità, anzi, ha aperto nuovi orizzonti e nuove possibilità, arrivando a rendere ancor meno netto e tangibile il confine fra questi due mondi che dovrebbero, invece, restare nettamente separati.

Tornando allo studio , riportiamo il post de Il giornalaio, che ne racconta bene i risultati. Lo studio è stato condotto nell’estate del 2011, il campione di giornalisti coinvolti comprende professionisti dell’informazione che lavorano per diverse tipologie di testate, dal quotidiano nazionale al mensile, dal giornale free press alla pubblicazione all digital, in maniera trasversale. I risultati sono stati pubblicati ieri ed evidenziano, tra l’altro, la dicotomia tra codice etico e pratica comune con una separazione tra informazione e pubblicità sempre meno facilmente definibile per il lettore secondo il 79% dei rispondenti. Una situazione percepita dai giornalisti stessi che nel 46% dei casi affermano un condizionamento dalla pubblicità per la produzione di informazione.

Se sono dati che sono in contrasto con almeno 8 fonti deontologiche diverse che fanno riferimento al tema specifico, amareggiano ma non stupiscono.

Precedenti studi sulla correlazione tra advertising e copertura giornalistica avevano già evidenziato come il ritorno, in termini di articoli pubblicati, sia direttamente correlato al crescere degli investimenti pubblicitari, aumentando sia in funzione dei comunicati stampa diffusi che del livello di investimento in comunicazione pubblicitaria delle imprese. Un aspetto che è assolutamente noto a chi opera professionalmente nel settore della comunicazione, ed in particolare delle PR.

Non si tratta solamente di investitori pubblicitari che ricevono un trattamento preferenziale nella copertura giornalistica ma vi sono tutta una serie di aspetti che non vanno trascurati.

Da un lato, ad esempio, in questo pare essersi specializzato, inaugurando forse un filone inedito, il quotidiano economico – giuridico e politico «Italia Oggi». Nella rubrica quotidiana “Un professionista al giorno”, il precitato giornale, che si caratterizza per il giallo – nero, propone un’intervista romanzata di un personaggio [o sedicente tale] dell’economia e degli affari italiani in generale. Oltre a magnificare ed amplificare immancabilmente sia le doti professionali che quelle umane dell’intervistato, la gabbia grafica della pagina in questione prevede come schema fisso l’equivalente di due colonne con “i preferiti” dell’intervistato. Gli oggetti sono quasi sempre libri, viaggi, film e motori; l’unica variante è dipendente dal sesso dell’intervistato che se uomo è un orologio, mentre se donna scarpe o borse, restiamo sempre comunque nell’ambito dei complementi – accessori dell’abbigliamento. Immagini dei prodotti e marchi “di prestigio”, in linea con il target dei lettori del quotidiano, sono sempre ben visibili.

Dall’altro lato, forse di maggior impatto, è nota la prassi secondo la quale non sia opportuno, per così dire, esprimere critiche particolarmente aspre nei confronti degli investitori pubblicitari. Sotto questo profilo, compagnie di telefonia o aziende di moda hanno nel tempo annullato campagne pubblicitarie e relativi investimenti, budget, proprio in virtù di espressioni giornalistiche sul loro operato non apprezzate.

Questo aspetto, tra l’altro, si inserisce proprio nel dibattito su motivazioni e criteri secondo i quali lo Stato debba, o meno, finanziare determinate testate. Molto spesso, infatti, l’affollamento pubblicitario, o meno, di una determinata testata non è solamente legato alla readership ma anche all’orientamento espresso dai giornalisti. «Il Manifesto» ne è uno degli esempi più concreti anche se evidentemente non l’unico.

Sono aspetti che nel loro insieme si acutizzano in momenti quali l’attuale di crisi degli investimenti e di lavoro, con testate e giornalisti che evidentemente divengono ancor più ricattabili.

Realtà che non ha necessità di inserirsi nell’ attuale revisione delle linee guida di riforma dell’ordinamento giornalistico poichè la disciplina esistente è assolutamente adeguata allo scopo, in termini teorici almeno.

Finché gli articoli dei giornali saranno scritti sul retro degli annunci pubblicitari, i giornalisti e le testate, continueranno ad essere costretti di fatto a praticare il comma sutra, fusione, neologismo, che stabilisce la distanza tra le buone pratiche codificate e le scorrettezze, con diverse estensioni, della pratica quotidiana.