Se non fossimo nel 2011 potrebbe essere un contenuto da piena Dot Com Bubble, tempi nei quali, non sapendo che parametri utilizzare per valutare un sito, si faceva riferimento esclusivamente ai numeri della sua community (con tutti i danni che ne sono derivati).
Se però una dozzina d’anni fa era d’uso chiedere solo l’email dell’utente (magari abbinandola solamente ad un nickname), oggi la parola d’ordine è profilazione: nei limiti del possibile, insieme all’indirizzo di posta elettronica si raccolgono almeno 5 altri dati (sesso, età, provincia di residenza, titolo di studio e professione), i quali valorizzano in modo importante il database delle email collezionate.
Con i social si sale di un ulteriore gradino: Facebook, ad esempio, non solo conosce (molto spesso) i 5 dati qui sopra, ma può abbinarli e incrociarli con la rete di amicizie dell’utente, con i posti che frequenta (=Facebook Places) e con i contenuti che gradisce (=click sui vari “Mi piace” sparsi per il web).
Basta questo a conferire valore ad un sito web? In parte si, altrimenti non si spiegherebbero le stratosferiche valutazioni di alcuni social che non hanno ancora trovato un modello di business sostenibile.
Ecco infatti che Twitter, pur non riuscendo a macinare cifre importanti (solo da 9 mesi sono attivi i Promoted Tweets), viene quotato 4 miliardi di dollari (=21 dollari a utente).
Ed ecco che Facebook, circondato da un immenso hype e con 2 miliardi di dollari alla voce revenue 2010, vale invece 50 miliardi di dollari (=100 dollari a utente).
50 miliardi ti sembra una cifra assurda? se la risposta è si sappi che, secondo le più recenti stime, la valutazione di Facebook è già passata da 50 a 70 miliardi…
da Tagliaerbe