Se dalla critica si arriva alla diffamazione, come comportarsi sul Web

1985

Per chi si occupa di media relations online il quesito è quasi quotidiano. Di fronte a post o commenti sui social network particolarmente aggressivi o lesivi della reputazione e dell’onorabilità dell’organizzazione che si rappresenta o di propri esponenti la tentazione di “trascinarlo in tribunale” è sempre presente. Una scelta del genere porta spesso con sé rischi alti legati alla reazione che il web stesso potrebbe avere di fronte a un’azione legale intrapresa da un’azienda contro una “voce libera” della Rete. In generale le aziende vivono il complesso di “Davide contro Golia” e spesso scelgono altre strade pur di non esporsi al rischio di essere additate come violentatrici della libertà di espressione sulla Rete.
E’ ovvio che il diritto di critica deve essere salvaguardato e, anzi, è proprio sulla capacità di gestire post negativi che si misura la capacità di relazione e la reputazione online di un buon ufficio stampa online. Ci sono però situazioni in cui il confine fra diritto di critica e l’insulto e la diffamazione viene superato. In questi casi val la pena fare un attimo chiarezza su cosa si possa o non si possa fare in termini di azione legale, ferme restando tutte le altre valutazioni di tipo reputazionale.

Dalla pagina Facebook della Polizia di Stato
Creando un proprio “account facebook”, infatti, ognuno di noi può allacciare nuove amicizie (anche con persone geograficamente lontanissime) o ritrovare rapporti oramai perduti nel tempo.

Tuttavia deve ammettersi che l’utilizzo improprio di ogni strumento, ed in particolare di ogni social network, potrebbe indurre chi lo utilizza ad una maggiore consumazione di reati quali la diffamazione proprio per la facilità di comunicare propria di questi strumenti.

Ed infatti, una recente sentenza del Tribunale di Monza, ovvero la sentenza n. 770 del 2 marzo 2010, afferma che: “ogni utente di social network (nel caso di specie di “facebook”) che sia destinatario di un messaggio lesivo della propria reputazione, dell’onore e del decoro, ha diritto al risarcimento del danno morale o non patrimoniale, ovviamente da porre a carico dell’autore del messaggio medesimo”.

Cerchiamo di comprendere meglio, però, questa importante decisione.

Nel caso sottoposto all’attenzione del Tribunale di Monza un ragazzo aveva commentato, in modo altamente offensivo, alcune fotografie della sua ex ragazza, preventivamente pubblicate sul proprio profilo facebook, denigrandola soprattutto a causa di un suo difetto fisico. Ebbene, i commenti in questione erano visibili a tutti e questo non fece che aumentare il carattere pubblico delle offese arrecate, facendo condannare il ragazzo, per la diffamazione consumata ai danni della sua ex, all’integrale risarcimento dei danni morali, sofferti dalla parte lesa, per un valore di ben € 15.000,00 oltre alla condanna integrale delle spese processuali.

Ma su quali motivazioni questo ragazzo di Monza è stato condannato? E quali sono, ad oggi, gli elementi per integrare il reato di diffamazione a mezzo internet?

Ebbene, cerchiamo di comprenderli insieme: la diffamazione è prevista dall’art. 595 del codice penale che afferma che chiunque comunicando con più persone offende l’altrui reputazione è punito con la reclusione fino ad un anno o con una multa. Ed in virtù del terzo comma dello stesso articolo la diffamazione “online” è una circostanza aggravante del reato poichè realizzato tramite lo strumento di internet, da sempre qualificato come “un mezzo pubblico” in quanto, per sua stessa natura, idoneo e sufficiente a trasmettere, a più soggetti, un determinato messaggio diffamatorio.

Ma, perchè il reato di “diffamazione on-line” si realizzi, è richiesta la presenza necessaria e contemporanea dei seguenti elementi:

1) l’offesa alla reputazione di un soggetto determinato o determinabile: Si parla di “reputazione” per indicare quella stima di cui ogni individuo gode, all’interno di una determinata società, per le caratteristiche che gli sono proprie. Perché si abbia “una lesione di questa stima” sono necessarie espressioni di fatto non vere, offensive, denigratorie o sarcasticamente dubitative se, per il modo con cui sono dette, fanno sorgere nel lettore un plausibile convincimento sulla effettiva corrispondenza a verità dei fatti (falsi) narrati.

1) La vittima oggetto della diffamazione deve, ovviamente, essere una persona determinata o facilmente determinabile in quanto l’individuazione dell’effettivo destinatario dell’offesa è condizione essenziale ed imprescindibile per attribuire, all’offesa, una rilevanza giuridico-penale.

2) la comunicazione di tale messaggio a più persone: La diffamazione è un reato istantaneo che si consuma con la comunicazione di un determinato messaggio a più persone. Trattandosi, di una tipologia di reato consumato via internet e, quindi, nella maggior parte dei casi, attraverso “un forum di discussione”, tale elemento si realizza con il “postare” il proprio messaggio trovando la sua consumazione nell’esatto momento in cui i terzi (che lo leggono) percepiscono l’espressione ingiuriosa o, nel caso in cui le frasi o le immagini lesive siano state immesse sul web, nell’esatto momento in cui il collegamento viene attivato (Cass. pen. Sez. V, 21/06/2006, n. 25875).

3) la volonta’ di usare specifiche espressioni offensive con la piena consapevolezza di offendere: Ai fini della sussistenza dell’elemento psicologico nei delitti di diffamazione, non è necessaria l’intenzione di offendere una determinata persona, ma basta la semplice volontà di utilizzare espressioni offensive con la consapevolezza “di poter offendere” (dolo generico). Questo tipo di atteggiamento psicologico, in sede istruttoria, sarà rilevato direttamente dalle frasi scritte e dal significato delle singole parole oggetto di diffamazione.

Ed infatti, è proprio l’analisi delle suddette frasi, calate in quel dato contesto, che permette di tracciare “il limite” tra il diritto di critica, che ricordiamo è ampiamente tutelato dal nostro ordinamento, con la fattispecie delittuosa.

E’ facile ipotizzare, dunque, come la presenza simultanea di questi 3 elementi possano far indagare un utilizzatore di facebook per il reato di diffamazione aggravata, per il qual delitto, vi ricordo, sono previste dal codice penale pene che possono arrivare fino a tre anni di reclusione, con possibili risarcimenti dei danni, in sede civile, da migliaia di euro.