Nella terza parte del nostro dossier sulla politica e lacomunicazione ai tempi dei social abbiamo provato ad aggiungere una serie di notizie di pubblica utilità sulle figure professionali che meglio si adattano a coprire le rinnovate esigenze del giornalismo e della comunicazione del nostro presente digitale.
Per aiutarci a mettere a fuoco queste nuove professionalità abbiamo incontrato Daniele Chieffi, un giornalista da anni prestato alla comunicazione aziendale, recentemente assunto da una multinazionale italiana per occuparsi della gestione dell’ufficio stampa web.
a cura di Marco Renzi
D: “Perchè è necessario dotarsi di professionisti specializzati per comunicare online? >>
R: “La dinamica della comunicazione in rete è completamente nuova e richiede competenze e sensibilità che non risiedono nella preparazione dei professionisti analogici old style e ugualmente necessitano di competenze adeguate. Comunicare online vuol dire avere la capacità di interagire direttamente con il pubblico, un fatto improbabile nel mondo analogico, anzi un’eventualità che veniva evitata come la peste prima dell’avvento della rete. Dall’altra parte c’è tutto un aspetto che presuppone la creazione di contenuti specifici per la rete che significa a sua volta essere in grado di saperli produrre, cosa tutt’altro che scontata.
Questi contenuti devono essere una risposta congrua alle esigenze del nostro pubblico e inoltre devono essere realizzati secondo modalità che li rendano facilmente fruibili dal medesimo pubblico. Quindi bisogna avere delle competenze multiple e variabili: scrittura, realizzazione di riprese video, foto, montaggio video, raccolta e visualizzazione di dati, etc.etc. E inoltre una capacità di leggere, decodificare e soddisfare le esigenze di quelli che sono i pubblici di riferimento. Un bagaglio di capacità e una sensibilità, quindi profili professionali davvero molto diversi rispetto a quelli che sino ad ora, offline, richiedeva il mondo della comunicazione”.
D: “Dunque cambia radicalmente l’assetto dell’ufficio stampa quando ci orientiamo verso la comunicazione online”.
R: “Prima gli uffici stampa erano strutturati come degli uffici a diretto riporto del management facevano da filtro fra un pubblico selezionato ed elitario come quello dei giornalisti e l’azienda interna con modalità e dinamiche professionali molto precise, una sorta di codice professionale non scritto ma immutabile e scandito da una serie di passaggi obbligati. E che agivano all’interno di un circuito di professionisti: comunicatori e giornalisti necessari gli uni agli altri. Si riconoscevano, erano complementari e dialogavano con “naturalezza”. Oggi invece da un punto di vista operativo c’è la necessità di interfacciarsi con interlocutori che non sono più necessariamente professionali.
La rete, proprio perchè fa cambiare la comunicazione da verticale ad orizzontale, allarga gli orizzonti, costringe all’interazione e fa saltare buona parte delle consuetudini classiche dell’attività di comunicazione dell’addetto stampa. Inoltre da un punto di vista organizzativo modifica profondamente la struttura stessa dell’ufficio Da una parte di obbliga per dialogare efficaciemente con il tuo pubblico, le tue communities, a produrre contenuti diversi dal “semplice” comunicato stampa. Contenuti complessi che necessitano di capacità di narrazione “storytelling” adeguate alla rete e agli strumenti digitali. Contenuti che contengano forzatamente elementi multimediali: video, audio, fotografie, grafici, testo.
Questi aspetti di novità costringono gli uffici stampa a trasformarsi sempre di più in una sorta di redazioni che siano in grado di occuparsi di brand journalism, ovvero siano in grado di intercettare quelli che sono i fatti e le storie che nascono all’ interno delle aziende, degli enti e riescano a raccontarli a riportarli in modo adeguato ai propri interlocutori.
Dall’altra parte c’è tutto l’aspetto legato all’interazione diretta con il mondo dei social che impone all’ufficio stampa di imparare a gestire in modo diretto e continuativo il rapporto con i consumatori/cittadini; costingendoli di fatto a “sporcarsi” le mani continuativamente, più volte al giorno attraverso i media sociali gestendo le conversazioni in rete, creando flussi narrativi et.etc. Questo fenomeno porta a dover inserire negli uffici stampa una serie di nuove figure professionali e inoltre ne rivoluziona integralmente la struttura. Non ci sono più uffici costruiti a piramide e divisi per tipologia di media: tv, radio, carta stampata; oppure per dimensione geopolitica nelle multinazionali: stampa locale, nazionale o estera.
L’ufficio stampa che si occupa di comunicazione in rete tende ad essere strutturato sempre di più come la redazione di un giornale online. C’è una sorta di desk centrale che analizza, crea e seleziona le storie e poi ci sono dei gruppi di lavoro specializzati che declinano queste storie, notizie, contenuti sulle varie piattaforme disponibili: i siti, i blog, i social network, e anche i media analogici. Una “quasi-redazione” giornalistica a tutti gli effetti”.
D: “E’ cambiato per esempio anche il momento della conferenza stampa?”
R: “E’ mutato radicalmente, si è trasformato da momento di “liturgia” in presenza, vera e propria conclusione in pompa magna di una corretta campagna di comunicazione, ad un momento molto più dinamico, in cui nessuno è più costretto a spostarsi fisicamente. Attraverso i media digitali si può interagire con uno o più interlocutori a distanza e quindi non c’è più bisogno di convocare conferenze affollate, lunghissime e complicatissime da gestire. Si interagisce a distanza via skype, oppure via hang out, o ancora meglio in streaming, in un gruppo ristretto e anche più volte nel corso della campagna.”
D: “Quindi le nuove professionalità della comunicazione devono saper intercettare i flussi di informazione che transitano in rete, capire chi li origina, i cosiddetti “influencers” , e riuscire a costruire un dialogo con essi e i loro seguaci; il tutto attraverso l’efficace utilizzazione delle tecnologie e degli strumenti della rete, per costruire i messaggi e diffonderli.”
R: “C’è bisogno di professionisti singolarmente preparati per queste specifiche esigenze, oppure c’è bisogno di riconversione. Adeguare gli uffici stampa vecchia maniera alle nuove e diverse esigenze della comunicazione e quindi aggiornare i contenuti professionali degli addetti stampa attraverso corsi di formazione specifici per renderli in grado di affrontare le diverse richieste che provengono dal mondo della rete.
Servono professionisti che sappiano integrare all’interno del proprio background culturale e professionale la capacità di interagire con soggetti, con interlocutori non professionali, che appartengono ad ambiti anche molto diversi da quelli del giornalismo o della comunicazione e che però per una serie di motivazioni e di dinamiche diverse sono in grado di influenzare gli aspetti reputazionali o i fattori di rischio a cui vanno incontro aziende e organizzazioni e che quindi come tali vanno gestiti e vanno in qualche modo inseriti in un processo di comunicazione più ampio.
Il problema è che questi non professionisti non riconoscono la necessità del ruolo del professionista della comunicazione, non percepiscono il comunicatore come parte del proprio orizzonte professionale e quindi costringono il comunicatore medesimo a risolvere un doppio problema: prima accreditarsi e farsi accettare dal proprio interlocutore e poi riuscire a costruirci una relazione. Per far questo il comunicatore deve avere la capacità di entrare in sintonia con i propri interlocutori soprattutto in ambito digital, una modalità del tutto inedita rispetto a quella normale”.
D: “Cambiano i flussi, cambiano i tempi di lavoro dell’ufficio stampa”.
R: “Il lavoro si svolge 24 ore al giorno, l’informazione sulla rete è un flusso ininterrotto non è ciclica ne ha periodicità. Per questo motivo è necessario avere un’organizzazione che ti permetta di monitorare la rete in tempo reale e continuo, avere un sistema che ti allerti quando appare online un contenuto “sensibile” per l’azienda. Poi è necessario che ci sia almeno un professionista dedicato a questi compiti specifici che si occupi di sviluppare le attività di costruzione delle relazioni online e che organizzi le attività di monitoraggio e alerting per farsi carico della gestione della reputazione dell’azienda in rete. Un compito che necessità interventi continui e costanti proprio perchè le informazioni online circolano in un unico flusso che non si azzera ne si interrompe mai”.
D: “Ci sono tre figure professionali, in realtà sono molte di più, ma diciamo che tre sono quelle a nostro avviso attraverso le quali questo modello di gestione della comunicazione online si riesce a realizzare al meglio, e sono : il social media editor, il content curator e il community manager”.
R: “Il Content Curator è un professionista che attraverso le sue competenze identifica contenuti, li isola e li rielabora rendendoli utli e adeguati alle necessità della comunicazione aziendale on e offline. Sono contenuti adatti a rispondere alle esigenze generali o di approfondimento e conoscenza specifica dei pubblici di riferimento, i cosiddetti stakeholders. E’ una competenza tutt’altro che scontata perchè ha un forte imprinting giornalistico ma poco legato ai vecchi canoni. La base di questa figura professionale è la capacità di leggere le esigenze della community a cui ci si rivolge e in base a questo costruire dei contenuti che siano fruibili e realmente di valore per la stessa.
Il Social Media Manager è a tutti gli effetti la persona che ha una visione generale e strategica della presenza della propria azienda/organizzazione nel mondo dei social. E che quindi riesce a tradurre il messaggio e il contenuto nei diversi linguaggi richiesti dalle diverse piattaforme sociali. La visione strategica generale gli permette di utilizzare nel modo migliore e più efficiente possibile ogni singola piattaforma. Ricordando sempre il presupposto di partenza che recita: il medium è il messaggio; in questo caso il social è il messaggio e quindi la scelta di una specifica piattaforma è di per se una forma di comunicazione. E’ necessario che la scelta sia fatta a priori e secondo una strategia e un piano di comunicazione concertato in precedenza assieme agli altri componenti del team di comunicazione dell’azienda.
Il Community Manager è il professionista in grado di interagire direttamente con la comunità e quindi si pone al centro di questo trittico di competenze. E’ la figura in grado di relazionarsi direttamente con i propri intelocutori, coglierne le sfumature, le singole esigenze, e riuscire a tradurre le esigenze di comunicazione dell’azienda verso quella specifica community. Un ruolo estremamente delicato. Un giocatore di scacchi che deve prevedere e comprendere le reazioni che la risposta aziendale innescherà nella community. Il community manager è quello che più di tutti intercetta gli influencers quindi fra le sue competenze deve avere buone capacità sia da giornalista che da comunicatore.
Queste competenze possono essere distribuite su tre diversi professionisti, ma in ogni caso, il nuovo addetto stampa digitale deve essere in grado di padroneggiarle tutte”.
D: “Tu lavori per l’Eni, una multinazionale con risorse ingenti e necessità di comunicazione altrettanto ingenti, che risorse e che figure operano nella comunicazione digitale, ci sono al momento queste tre diverse figure che abbiamo nominato in seno alla tua azienda?”
R: “Le stiamo cominciando ad introdurre molto lentamente. Più che altro si stanno iniziando a richiedere le necessarie competenze per gestire posizioni professionali come quelle di cui abbiamo parlato ai professionisti che già lavorano nel reparto comunicazione di Eni. Persone assunte come social media manager, content curator o community manager non ne abbiamo per ora. Abbiamo personale tecnico molto competente per la gestione e lo sviluppo del sito. Siamo stati recentissimamente premiati per la quarta volta come miglior sito corporate del mondo. Del resto il mio stesso ruolo in azienda è nato con la mia assunzione circa quattro mesi fa. C’è poi una forte tendenza nelle aziende a terziarizzare alcuni lavori. Eni come molte altre aziende, tende ad acquistare all’esterno una serie di competenze che non trova in azienda. Una pratica poco usata per l’ufficio stampa”.
D: “Nel mondo digitale molti aspetti del controllo e del monitoraggio dei processi, anche nei processi di comunicazione la fanno i software”.
R: “Certo, anche se la presenza umana è sempre necessaria a valle del processo, perchè l’analisi umana e la valutazione del portato valoriale critico o positivo di un contenuto, sia esso un post, un tweet, o un articolo su un blog è imprescindibile. Non esiste un software in grado di valutare quanto possa essere più o meno dannoso, o più o meno positivo, o ancora più o meno di valore quel tale contenuto per l’azienda”.
D: “Quando si nomina il brand journalism si tende a fare confusione e a confondere questa pratica altamente innovativa a metà fra giornalismo e comunicazione con le care e vecchie “marchette” che ahimè abbondano da sempre nel mondo dell’informazione. Proviamo a definirlo con precisione”.
R: “Ogni azienda ogni organizzazione per piccola o grande che sia ha al suo interno, o meglio, è essa stessa un grande contenitore di storie, di professionalità, di conoscenza, di documentazione, di archivi, di simboli, di aneddotti, di tecnologie, di sforzo umano, vittorie, sconfitte etc.etc. E’ a tutti gli effetti un universo sociale. Queste storie possono essere narrate, raccontate, riportate secondo i criteri giornalistici. Non si tratta di raccontare il prodotto e quindi fare la “marchetta”. Si tratta di raccontare l’anima stessa dell’azienda, gli uomini che la compongono, tutto quello che può interessare dell’azienda indipendentemente dalle logiche dettate dal mercato. Inoltre ogni azienda ha anche la necessità di mettere al servizio dei propri interlocutori e del pubblico quello che “l’azienda sa fare”, tutto il proprio know how deve essere trasmesso sotto forma di informazioni agli stake holder perchè sia d’aiuto alla clientela.
Questi due mondi in seno alle aziende necessitano di una persona che ne interpreti i flussi e sia in grado di mettere in comunicazione l’azienda con il pubblico a cui si rivolge. Si tratta di una figura molto simile a quella del giornalista, testimone del presente per il pubblico, che in seno ai ruoli della comunicazione di un’azienda viene definito brand journalist.Un professionista che deve riuscire a raccontare l’azienda per cui lavora e intercettare le esigenze del pubblico metterle in contatto e riuscire a far dialogare questi due mondi. Un giornalista interno all’azienda in grado di intercettare i fatti rilevanti della storia aziendale, che li riesca a narrare e portare a conoscenza del pubblico nella maniera migliore possibile. Ma anche che sia in grado di intercettare le esigenze del pubblico e a far si che l’azienda sia in grado di rispondere a queste esigenze nella maniera migliore possibile, più chiara, comprensibile ed efficace. Una figura aziendale di grande utilità, soprattutto nell’era digitale, ma che necessita di competenze articolate e complesse perchè svolge attività articolate e assai delicate nell’economia aziendale”.