Un cinguettio non fa giornalismo ma può fare crisis

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La più famosa fu l’uccisione di Osama Bin Laden, la più recente l’annuncio della scomparsa di Oscar Luigi Scalfaro. Parliamo delle “vittorie” di twitter nell’ipotetica gara di velocità con le agenzie di stampa. Sul web si è scatenata una polemica se abbia senso questa gara, se quelle che circolano su twitter possano o meno essere considerate notizie  e quindi se twitter stasso sia o meno un mezzo d’informazione, un media, in una parola. Ne ha parlato bene Philip Di Salvo su Wired
e non si può non essere d’accordo che ormai sia pacifico che twitter sia, più anche di altri social media, un “mezzo d’informazione”, con una potenete capacità di diffusione. Altro discorso, e anche qui non si può che essere d’accordo, sul fatto che, per quanto twittata da una fonte autorevole, una notizia sotto forma di cinguettio non rappresenti di per sé una “notizia” nel senso giornalistico del termine.

In buona sostanza, giornali e giornalisti non possono e non devono prenderla per buona ma devono svolgere l’attività che è il cardine della loro professione: la verifica. Twitter, quindi, per quanto riguardi il giornalismo è una fonte, veloce, preziosa ma pur sempre una fonte che va verificata. Non ha senso quindi una gara di velocità a meno che non si voglia compromettere il valore stesso dell’intermediazione giornalistica. Un esempio è stato un noto giornalista economico che, a freddo, a twittato la notizia delle dimissioni dell’AD di una grande società quotata in borsa. Se le agenzie e i giornali online l’avessero ripresa sic et simpliciter, quella stessa società sarebbe crollata a piazza Affari (i mercati erano aperti) con tutti i danni che ne sarebbero conseguiti. La notizia non era vera e la verifica dei media mainstream ha permesso di non farla circolare.

Tutto questo, però, non tiene in considerazione un aspetto fondamentale. Se è vero, come è vero che un contenuto su Internet non è notizia se non viene inverato da un media autorevole è vero, però che, per un pubblico non professionale su twitter agiscono molti influencers, opinion makers, i quali sono di per loro, per il loro pubblico di followers, dei “media autorevoli”. In buona sostanza se un giornalista vede un “cinguettio” lo verifica, anche se viene da una fonte accreditata, il semplice utente no. Può dare per scontato che “se l’ha twittato lui, allora è vero”.
da questo punto di vista il rischio è l’innesco di crisis di comunicazione nell’alveo di twitter, che esplodono e sviluppano tutta la loro viralità fra le varie community di followers, esondando su altri social network, in un processo che non si ferma certo perché altri media non riprendono la notizia. Una sorta di crisi autoalimentata nell’ambiente social che per aziende, organizzazioni e personaggi può essere pericolosissima.
Ovviamente l’unico rimedio sarebbe che un influencers, consapevole della sua responsabilità di fonte attendibile per il suo pubblico, eviti accuratamente di twittare ciò che non ha verificato, comportandosi a tutti gli effetti come un giornalista ma questo, come abbiamo visto, non sempre accade.

L’unica strada per aziende, organizzazioni e personaggi, per tutelare la propria reputazione è di entrare in relazione con gli influencers della o delle community di riferimento, in modo da poter intervenire, direttamente e in tempo reale per fermare la propagazione della falsa notizia o la “carica della bufala”, come si dice in gergo.