Il metodo che utilizzo quotidianamente è diverso. Quando arriva l’ispirazione (quando arriva l’ispirazione?) mi lancio in una scrittura inarrestabile e scomposta che sfocia in una bozza quasi illeggibile. Dopo questa prima fase impulsiva subentra la rilettura del testo e un’opera di proof reading durante la quale alleggerisco il testo.
Quali sono gli aggettivi che rimangono?
Nell’opera di rilettura faccio molto affidamento all’esperienza personale per scegliere gli aggettivi che possono rimanere. A volte li tolgo, poi li rimetto e cambio interi periodi pur di rendere tutto più scorrevole.
Gli aggettivi aiutano a descrivere una circostanza, arricchiscono un periodo anonimo, ma in molti (troppi) casi vengono utilizzati solo per riempire spazi e per compiacere il nostro animo barocco. Nel web questo atteggiamento non va bene perché hai pochi secondi per catturare l’attenzione del lettore e non puoi permetterti di annoiarlo con le tue liste di aggettivi senza senso.
Non amo i giudizi e le sintesi finali ma voglio chiudere il post con una citazione delle lezioni futuriste di Marinetti che paragona gli aggettivi a segnali semaforici ricchi di significato. E che proprio per questo motivo devono essere utilizzati con parsimonia!